Israele compie settantun anni e festeggia dalla sera dell’8 maggio a quella del 9 il Giorno dell’Indipendenza. Come sempre questa data festiva è preceduta da due distinti momenti di ricordo dei caduti. Dieci giorni prima di Yom haAtzmaut c’è stato il Giorno della Shoah e della Resistenza (Yom haShoà ve haGhevurà) e alla vigilia della festa nazionale c’è il giorno del ricordo dei caduti in difesa del paese e delle vittime del terrorismo (Yom haZikaron). Qualcuno ha osservato che non è un caso che Israele abbia due giornate del ricordo: la seconda serve a tenere memoria del costo dell’esistenza dello Stato ebraico, la prima commemora le vittime ben più numerose che il popolo ebraico ha dovuto subire ottant’anni fa per non avere uno Stato che potesse accoglierle e difenderle.
Questo doppio registro è ancora purtroppo molto attuale. In tutto l’Occidente, dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Germania al Sudafrica l’antisemitismo è ritornato in auge e la vita ebraica è minacciata, da destra e da sinistra, da parte degli islamisti e dei “benpensanti” progressivi. Se non ci fosse Israele i focolai genocidi non sarebbero limitati a orribili atti simbolici e a un numero per fortuna abbastanza limitato di fatti di sangue e soprattutto coloro che scelgono di andarsene da paesi inospitali come la Francia o la Svezia non avrebbero un rifugio sicuro. Quanto alla difesa del paese e ai suoi costi umani, si è appena conclusa una nuova fiammata terroristica da Gaza. Ma se si guarda al quadro generale si vede che continua anche il terrorismo “artigianale” dei coltelli, dei sassi, delle bombe molotov, degli spari artigianali. E soprattutto al Nord c’è una grossa potenza regionale che senza alcuna rivendicazione territoriale specifica, per puro odio ideologico, trama incessantemente per la distruzione di Israele: spostando truppe ben lontano dai suoi confini, finanziando e armando gruppi terroristici, allestendo sistemi d’arma e logistici imponenti che mirano a un nuovo genocidio. Israele però si difende bene, lucidamente e con efficacia da tutte queste minacce, sia sul piano militare che su quello politico e diplomatico.
E però bisogna rendersi conto e continuare a ripetere agli indifferenti che i costi umani di questa situazione sono molto gravi, che non vi è al mondo alcun paese circondato da nemici che vogliono il genocidio dei suoi abitanti, costretto a non passare un giorno senza difendere con le armi la sua esistenza e la vita dei suoi abitanti. E’ l’anomalia ebraica, quella per cui per un millennio e passa “buoni” cristiani, “pacifici” musulmani, “progressisti” laici, comunisti con lo sguardo al sol dell’avvenire, oltre che i peggiori nazifascisti, si sono sentiti virtuosi a perseguitare con le parole e gli atti un popolo solo perché esisteva, viveva a suo modo, rispettava la sua religione, era insomma “diverso”. Israele ha ereditato questa “diversità”, con la sola fondamentale novità che sa, può e vuole difendersi. Questa novità ha nome “stato nazionale” e forse non è un caso che non lo volesse nessuno fino al momento in cui il genio di David Ben Gurion e il suo coraggio permisero di cogliere il primo momento buono per riavere una patria indipendente in venti secoli di storia – e molti neppure dopo. A rileggere oggi le prese di posizione di politici, leader religiosi, intellettuali anche ebrei fra gli anni Trenta e i Sessanta, fa impressione lo scetticismo, anzi l’ostilità per la nascita di uno stato degli ebrei. Per citare solo alcune notissime figure intellettuali, erano contrarissimi Buber e Arendt, il fondatore dell’Università ebraica Magnes e Scholem (che però in seguito cambiò parzialmente idea). Israele non lo volevano non solo gli arabi, ma neanche il Vaticano, la Gran Bretagna, Roosvelt e il Dipartimento di Stato, Gandhi buona parte delle potenze europee. Sono ostilità che hanno lasciato un segno e che in parte hanno oggi molti eredi.
E’ un peccato dover parlare di queste cose a un compleanno. Ma la realtà è questa. Se gli ebrei del mondo hanno in Israele un rifugio e una garanzia, quel diritto a una patria che è di tutti i popoli e che ha radici profondissime nella Bibbia, se molti vedono nello stato ebraico un modello di democrazia e di progresso, quel che bisogna augurare a Israele oggi è di continuare a neutralizzare i suoi nemici, di sapere ancora conquistarsi giorno per giorno la pace e la sicurezza che sono possibili, di crescere sempre più economicamente, culturalmente, praticamente, di mantenere la sua preziosa anima antica con il coraggio di innestarla nel futuro che si costruisce nelle sue università e nei suoi laboratori. Perché la gioia e il brindisi di questo compleanno siano dedicati lechaim, che vuol dire “alla vita”.