Gli USA riprendono i finanziamenti ai palestinesi e alla UNRWA. A parole sono tutti d’accordo: europei, russi, americani dei due partiti, anche i “palestinesi” e gli israeliani. L’obiettivo di ogni politica, trattativa, decisione sul conflitto arabo-israeliano non può che essere la pace. Ma come si ottiene la pace? Anche qui, a parole, sono tutti d’accordo: riconoscendosi a vicenda e risolvendo i contrasti concreti come si fa in tutte le situazioni pubbliche o private, con un compromesso. Questo era l’idea degli accordi di Oslo, almeno nella mente degli statisti israeliani che li sottoscrissero: prendiamo un gruppo di terroristi, l’OLP, il più grosso e apparentemente capace di un linguaggio ragionevole, lo mettiamo a capo delle zone arabe di Giudea, Samaria e Gaza, riconosciamo loro una ragionevole autonomia, poi col crescere della fiducia ci metteremo d’accordo su confini, commercio e quant’altro.
Sappiamo tutti come è andata. L’errore fondamentale di quell’accordo e di tutta quella politica fu il pensare che obiettivo dell’OLP fosse l’autogoverno della popolazione araba, o anche nella versione più estrema (che, bisogna ripeterlo, NON è affatto prevista dagli accordi di Oslo), cioè la costituzione di uno stato “palestinese”. Non vi era chiaramente bisogno di questa nuova creatura geopolitica, perché c’è già uno stato fattualmente e legalmente creato nel 1922 come patria degli arabi del mandato di Palestina, ancora esistente sotto il nome di Giordania. Ma Arafat e i suoi erano ambiziosi e corrotti, magari volevano solo i titoli e i soldi di uno Stato. Così si illudeva la sinistra israeliana. Ma l’obiettivo vero di costoro, la ragione per cui, in collaborazione fra i paesi arabi e i servizi segreti del blocco sovietico, era stato costituito il loro movimento, non era la creazione di un altro stato arabo musulmano oltre alla ventina che già esiste, ma la distruzione dello stato di Israele. Per i sovietici si trattava di eliminare il principale alleato dell’Occidente in Medio Oriente e il polo di resistenza ideale per gli ebrei dei loro territori, per gli arabi dell’obbligo religioso di far sparire uno stato “infedele” costruito su una terra conquistata con le armi dall’Islam, che per loro doveva appartenergli irrevocabilmente, e inoltre di far sparire l’obbrobrio in cui esseri inferiori come gli ebrei e magari le loro donne potevano governare i capi per diritto divino, cioè i musulmani.
L’errore di Oslo fu fornire a queste pretese, che alimentano il terrorismo, una base territoriale e una legalità internazionale. Gli israeliani si dovettero purtroppo svegliare presto dall’illusione, perché il terrorismo palestinista non fu spento ma alimentato dalle concessioni e dopo Oslo vennero subito gli anni terribili degli autobus e dei locali fatti esplodere con decine di vittime. Ma l’Europa ci crede ancora e alimenta con soldi e appoggi internazionali l’impresa dei discendenti di quel gruppo di terroristi trasformati per un colpo di bacchetta magica in governanti. Anche gli Usa ci hanno creduto e in particolare hanno alimentato per decenni una versione particolarmente barocca di questa illusione: che la pace si sarebbe raggiunta con un lungo “processo negoziale”, condotto sulle linee di Oslo, cioè concessioni pratiche, territoriali, economiche, giuridiche da parte di Israele in cambio della prosecuzione delle interminabili trattative da parte dell’OLP – o addirittura della promessa che il negoziato, spesso interrotto, sarebbe ripreso in cambio di concessioni preliminare.
Nel frattempo gli americani davano all’Autorità Palestinese appoggio internazionale, addestramento militare, soldi. In particolare gli Usa si facevano carico quasi da soli del budget di un’agenzia dell’Onu, l’UNRWA, creata settant’anni fa dopo la guerra di indipendenza di Israele con il solo scopo di prendersi carico dei rifugiati di quella guerra, che però subito prese partito occupandosi solo dei profughi palestinesi e non di quelli ebrei espulsi dai paesi arabi in occasione di quella guerra; e poi fece l’incredibile scelta di non considerare rifugiati solo i fuggitivi di quel momento, ma anche i loro figli, nipoti, pronipoti e così via, gonfiando enormemente le cifre con l’obiettivo di mantenere aperto il “problema palestinese” fino alla sua “soluzione vera” cioè la distruzione dello stato di Israele. L’UNRWA ormai è un braccio dell’amministrazione dell’Autorità Palestinese e soprattutto di Hamas, usando fondi internazionali per l’istruzione e la sanità dei territori da loro amministrati, col risultato da un lato di permettere loro di usare gli aiuti internazionali diretti per finanziare il terrorismo e dall’altro di aver assunto completamente l’ideologia palestinista, indottrinando i bambini all’odio per gli ebrei e Israele, com’è spesso stato dimostrato, dando stipendi alle gerarchie del terrorismo, ospitando addirittura nelle sue strutture civili e protette dall’Onu depositi e comandi militari.
Gli Stati Uniti hanno finanziato sia l’Unrwa che l’Autorità Palestinese per decenni, fino alla grande novità della scorsa presidenza. Trump aveva capito infatti lucidamente il gioco dei palestinisti e la funzione dell’UNRWA, era stato capace di cambiare gioco trovando per la pace fra Israele e i Paesi Arabi la strada degli accordi diretti “di Abramo”, come li ha chiamati, che hanno cambiato l’organizzazione strategica del Medio Oriente. E ha intuito anche che per portare la dirigenza di Hamas e dell’AP all’abbandono del terrorismo e a una pace vera bisognasse far pressione su di loro e non su Israele, innanzitutto tagliando loro i finanziamenti se non cessavano i comportamenti di appoggio al terrorismo e soprattutto togliendoli a quell’agenzia di educazione al terrorismo che è l’UNRWA.
Purtroppo Trump ha perso la presidenza alle ultime elezioni, e non ci occupiamo qui delle cause di questa sconfitta. Ma l’amministrazione Biden ha subito ripreso le politiche delle amministrazioni precedenti, in particolare di Obama, in molte materie fra cui il Medio Oriente. Sta cercando di far ripartire l’accordo con l’Iran che ne finanziava l’imperialismo e la guerra a Israele in cambio di un rallentamento provvisorio (non certo dell’abolizione) del programma di armamento nucleare. Ha tagliato gli aiuti agli alleati tradizionali con cui Israele ha sottoscritto o sta negoziando degli accordi, prima di tutto gli Emirati e l’Arabia, togliendo loro anche l’ombrello difensivo di cui godevano. Ha ricominciato a finanziare e ad appoggiare politicamente i palestinisti, iniziando ad anticipare loro la bella sommetta di 325 milioni di dollari, anche in violazione delle leggi americane stesse, in particolare destinando 150 milioni all’UNRWA. La resistenza dei repubblicani al Senato serve a ritardare un po’ il processo e soprattutto a chiarirlo all’opinione pubblica. E’ ricominciata anche la pratica delle soffiate ai giornali delle operazioni segrete dell’esercito israeliano, come quella contro la nave spia iraniana.
Insomma, bisogna prendere atto che a Washington comanda di nuovo un’amministrazione ostile a Israele, per certi versi ancora più ostile di quella di Obama, perché nel partito democratico hanno preso forza gli antisemiti di sinistra che vogliono una politica apertamente antisraeliana, senza le ipocrisie di cui ancora Biden e il suo segretario di stato Blinken la velano. E’ un difficile momento per Israele, che richiederebbe tutta la competenza di un leader esperto come Netanyahu, paralizzato invece dalle difficoltà di costituire il governo.