Cesare Menasci potrei essere io, come potreste essere voi. Un uomo con una famiglia, una moglie, un lavoro, una vita. Un uomo dalla vita umile che si alza presto al mattino per portare la pagnotta a casa e una volta tornato, seppur stanco, cerca di dare una mano in casa senza far mancare nessuna attenzione alla propria moglie. Un uomo taciturno che, silenziosamente, fa parte delle vite altrui e le riempie di amore. Un uomo che potrebbe passare quasi “inosservato” per la sua semplicità.
Un uomo che, però, non ha fatto in tempo a diventare “padre”. Lo straziante dolore che la Shoah ha lasciato 70 anni fa, purtroppo, non è terminato, anzi, si perpetua nel tempo. La storia di Cesare è “una fra tante”, lasciate nel dimenticatoio dalla società, ma portate come fardello dalla famiglia. La mia famiglia.
Durante il periodo di persecuzione, gli ebrei sono stati costretti a nascondersi per non essere presi dalle S.S. che li avrebbero portati nei campi di sterminio. Lui e la moglie, insieme ad altre famiglie, si erano nascosti per alcuni mesi nelle caldaie di una Chiesa a Via di Donna Olimpia, grazie all’aiuto di Don Volpino. Purtroppo, però, hanno dovuto abbandonare quel luogo, ritrovandosi nuovamente allo scoperto. Proprio in quel periodo è stato catturato. Era il 16 ottobre 1943.
Di lui non si è più saputo niente. I genitori e i fratelli hanno provato a chiedere sue notizie ovunque, ma senza risultati. Immaginate una madre che passa la sua intera vita senza sapere che fine avesse fatto il figlio. Nel caso fosse sopravvissuto, dove aveva deciso di passare il resto dei suoi giorni? Perché non tornava a casa? Con il passare degli anni uscirono fuori i primi documenti dove veniva dato per morto. Ma morto di cosa? Come? Quando? Dove? Non furono date altre spiegazioni. Per loro era un semplice numero, il “31267”, catalogato come “deceduto”. Per anni, infatti, si è creduto che fosse morto ad Auschwitz e, invece, la chiave di tutto era Flossenburg.
Dopo 70 anni la dura verità. Cesare Menasci, uomo ebreo di soli ventiquattro anni, il 22 ottobre 1944 è stato trasferito da Auschwitz a Flossenburg dove è morto il 25 dicembre 1944. Il suo corpo fu inserito nel forno crematorio e le sue ceneri sparse intorno al campo. Una volta finita la guerra, le sue ceneri, insieme a tante altre, furono inserite dentro il memoriale denominato: “La Piramide delle Ceneri”.
Di lui, ormai, si ha solo una fotografia che ricorda i momenti felici e spensierati prima della guerra. Per i suoi fratelli, l’unico modo di tenere in vita il ricordo di Cesare è stato quello di chiamare tutti i primogeniti maschi con il suo nome. Cesare Menasci è rinato nelle anime di quei nipoti, di quella continuazione, di quella speranza chiamata “Futuro”.