Harold James, professore a Princeton, specialista dell’integrazione europea ha scritto un saggio, “Gli ebrei europei hanno buone ragioni per essere preoccupati”, che Giulio Meotti segnalava su “Il Foglio” del 13 febbraio scorso. James si concentra su Weimar. Ma più che su quella sfortunata “società permissiva”, il discorso sembra volgersi all’Unione Europea dei nostri giorni.
Come allora, secondo James, “oggi l’establishment cerca di rassicurare gli ebrei con argomenti simili a quelli del 1933. Le istituzioni politiche di Weimar erano abilmente progettate per essere le più rappresentative possibile. La maggior parte dei tedeschi vedeva la loro società come straordinariamente tollerante. E gli ebrei tedeschi vivevano in una società inclusiva”.
Weimar lo era e intendeva esserlo davvero. In pochissimo tempo però tutto cambiò: divenne cancelliere l’autore del Mein Kampf e al fratello di Amoz Oz, accademico tedesco che amava la Germania come propria irrinunciabile patria, parve giusto e lecito rifiutare la sollecitazione familiare ad andarsene. Dall’aprile del 1933 era stato teorizzato un “boicottaggio degli ebrei” di cui era però più che comprensibile al momento rifiutarsi di comprenderne quali implicazioni e quali tragedie ne sarebbero scaturite.
L’Unione Europea, che alla marchiatura dei prodotti israeliani è pervenuta mesi addietro con tanta disinvoltura, sembra prestarsi ad una sorta di cinica replica di Weimar. Magari senza accorgersene, avvinghiata ad un rispettabile sogno costituzionale slegato dalla realtà quotidiana. Alla marchiatura dei prodotti israeliani (dell’Unione Europea, non a Weimar) è seguita una indignazione davvero troppo flebile: quasi che questioni di principio possano essere solo quelle di bilanci e flessibilità nazionali; quasi che di “boicottaggio degli ebrei” nessuno realmente abbia intenzione; quasi che tanto anti-semitismo (islamico soprattutto, ma non solo) non sia di nuovo tornato ad abitare in Europa!