Due calciatori israeliani sono finiti nella bufera in Turchia per aver chiesto il rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas dal 7 ottobre scorso, giorno in cui la furia omicida araba-palestinese si è scagliata contro i cittadini di Israele.
L’attaccante dell’Antalyaspor, Sagiv Jehezkel, è stato arrestato per incitamento all’odio dopo che nell’ultima gara di campionato aveva festeggiato una rete, mostrando un messaggio in favore della liberazione degli ostaggi israeliani in mano al gruppo terrorista che gestisce Gaza.
“100 giorni, 7/10” e la stella di David scritta sul braccio fatto vedere alle telecamere dopo l’1-1 realizzato contro il Trabsonspor nella partita casalinga della Super Lig turca.
Il 28enne Jehezkel è stato poi rilasciato e fatto rimpatriare in Israele con un volo speciale.
“Non volevo provocare nessuno e voglio che questa guerra finisca. Da quando sono arrivato all’Antalyaspor, a settembre, non ho mai mancato di rispetto a nessuno. Volevo solo attirare l’attenzione sulla necessità di terminare la guerra”.
Così ha risposto il giocatore israeliano al giudice, che l’ha accusato di violare i valori della Turchia, da sempre vicina alla causa palestinese.
Non se la passa meglio il 23enne Eden Karzev, il cui post su Instagram “100 – riportiamoli a casa ORA” è costato l’apertura di un’indagine da parte del suo club, il Basaksehir di Istanbul, considerato molto vicino a Erdogan.
Gli unici due calciatori israeliani che giocano nel massimo campionato turco hanno avuti grossi problemi per aver chiesto la liberazione di innocenti. L’episodio fa capire l’enorme differenza tra chi difende Israele e chi Hamas.
Anzi, a dirla tutta, Jehezkel e Karzev hanno chiesto che gli ostaggi di Hamas tornino a casa. Nessun messaggio politico, nulla di tutto questo. I due atleti hanno chiesto che cittadini come loro facciano ritorno in patria. Solo questo.
In Turchia, però, chiedere la liberazione degli ostaggi è una colpa da pagare. Questo è l’ennesima occasione in cui l’antisemitismo viene utilizzato come mezzo propagandistico.