Sembra che si stia presentando una grande occasione per Israele e per tutto il Medio Oriente. E’ il piano di pace di Trump, che sarà reso pubblico nei prossimi giorni, dopo una consultazione con Netanyahu che avverrà mercoledì alla casa Bianca, cui è stato invitato anche Gantz. I giornali israeliani lo hanno descritto come il “piano più pro-Israele mai presentato” da un’amministrazione americana.
Secondo i termini che sono sulla base dei briefing forniti dall’ambasciatore USA a Israele David Friedman a vari politici israeliani nei giorni scorsi, Israele manterrebbe il controllo di sicurezza globale di tutta la cosiddetta Cisgiordania anche se uno stato palestinese fosse istituito in alcune parti di esso, la Valle del Giordano sarà definita nel piano come il confine di sicurezza orientale di Israele.Israele annetterebbe tutti gli oltre cento insediamenti legalmente esistenti nella zona C, ma che gli insediamenti minori non dovrebbero espansi ulteriormente. Dozzine di avamposti illegali verrebbero evacuati. Israele sarebbe sovrano a Gerusalemme, anche se ha aggiunto che diversi quartieri arabi formalmente all’interno di Gerusalemme, che si trovano sul lato ovest della barriera di sicurezza, andrebbero ai palestinesi. In particolare Israele manterrebbe la sovranità sul Monte del Tempio e negli altri luoghi sacri della Città Vecchia, ma i palestinesi avrebbero avuto un ruolo nella loro amministrazione
Alla fine del processo dovrebbe uno stato palestinese smilitarizzato in circa l’80% della cosiddetta Cisgiordania, sotto il controllo generale israeliano. Questo stato non avrebbe il potere di mantenere un esercito e firmare trattati militari, e Israele controllerebbe i suoi confini. A favore dell’Autorità Palestinese e del suo decollo gli USA organizzerebbero un massiccio aiuto finanziario, fino a un centinaio di miliardi di dollari. Un punto cruciale è che in caso di rifiuto da parte araba, che è già scontato, Gli Stati Uniti appoggerebbero un’annessione Israeliana della Valle del Giordano, che è assolutamente strategica per la difesa di Israele e degli insediamenti in Giudea e Samaria.
C’è la questione dei tempi: molti hanno obiettato al fatto che Trump prenda questa iniziativa in concomitanza con le campagne elettorali israeliana e americana e con i tentativi legali di squalificare lui e Netanyahu con vari pretesti. Ma l’obiezione non regge: sono anni che l’amministrazione Trump lavora meticolosamente a questo piano, conducendo consultazioni, lasciando trapelare successive ipotesi, cercando di raggiungere un consenso; pochi mesi fa si è svolta a Dubai una conferenza ufficiale sugli aspetti economici. E’ logico che Trump voglia rendere pubblico il suo piano e dare, com’è nel suo stile negoziale termini cronologici stretti alle parti, prime di entrare nel vivo della campagna elettorale, che inizierà ufficialmente fra una decina di giorni, con le prime elezioni primarie. E si può supporre che voglia arrivare a una conclusione prima delle elezioni di novembre. Se poi questa proposta, che lui giudica e non a torto storica, coincide con una fase della campagna elettorale israeliana, che durerà ancora un mese e mezzo, e anzi se la convocazione alla Casa Bianca del premier Netanyahu e del capo dell’opposizione Gantz (un invito bipartisan che era stato sollecitato dallo stesso Netanyahu, inizialmente convocato da solo, e che sottolinea il carattere straordinario e l’interesse statale, sovrapolitico della delegazione) coincide con una seduta del parlamento in cui si potrebbe nominare una commissione che irritualmente potrebbe accordare l’autorizzazione parlamentare a procedere contro Netanyahu – di tutto ciò a Trump, che è uomo d’azione e preferisce notoriamente le trattative personali alle estenuante liturgie partitiche o diplomatiche, naturalmente importa pochissimo.
Per dirla con le parole di Netanyahu, “un’occasione come questa arriva una volta nella storia e non può essere persa. Oggi abbiamo alla Casa Bianca il più grande amico che Israele abbia mai avuto; quindi, abbiamo la più grande opportunità che abbiamo mai avuto.” Non è detto che il piano di pace di Trump si realizzi, anzi, è molto probabile di no. Ma in questo caso vi potranno essere dei mutamenti giuridici nei rapporti fra le parti riconosciuti dagli Stati Uniti. Gerusalemme e i suoi luoghi santi, la valle del Giordano, le città e i paesi in Giudea e Samaria in cui vive e lavora mezzo milione e passa di ebrei non saranno solo territori contesi sotto l’amministrazione israeliana, ma potranno diventare parti di Israele come il Golan. Una mossa che probabilmente l’Europa non approverà, come è stato il riconoscimento di Gerusalemme capitale. Ma destinata a segnare i rapporti di forza e a cambiare il corso della storia del Medio Oriente nel solo momento in cui è possibile uscire dalla stantia e infondata concezione dei “territori palestinesi occupati”. Magari, col tempo, questa mossa potrà portare a un rinnovamento della dirigenza di Ramallah e di Gaza e a una riconsiderazione fondamentale dei rapporti. Almeno lo speriamo. Certamente, se “i palestinesi non perdono mai un’occasione di perdere un’occasione”, Israele deve confermare anche questa volta che approfitta sempre dell’occasione di approfittare di un’occasione.