La notizia è di quelle che, se escono sui nostri giornali, compongono appena una “breve” di cronaca, o poche righe in un articolo dedicato ad altro. Eppure dovrebbe far pensare. Eccola. Sono passati poco più di cinque anni dall’assassinio di tre ragazzi israeliani, rapiti sulla strada mentre facevano autostop dopo essere usciti da una scuola religiosa che frequentavano: Eyal Yifrach, (19 anni), Gilad Shaar, (16), e Naftali Fraenkel, (16). E’ un caso che scosse le coscienze, per la giovane età delle vittime, la loro assoluta innocenza, e anche perché la loro ricerca si prolungò per alcune settimane, finché non si ritrovarono i loro resti. Dopo la scoperta, la polizia fece in fretta a individuare gli assassini, appartenenti a un clan di un villaggio vicino a Hebron. Assediati, essi resistettero con le armi alla cattura e furono uccisi. Ma il capobanda che aveva progettato il rapimento, tal Husam Al-Qawasmi ,fu preso e messo in galera proprio cinque anni fa, l’11 luglio 2014. Ecco la notizia: in occasione della ricorrenza del quinto anno di carcere l’Autorità Palestinese, che gli aveva già fatto avere in questi anni 27. 240 dollari (da quelle parti è una piccola fortuna) ha raddoppiato il suo stipendio, che passa da 500 dollari al mese a circa 1000. Può sembrare poco, in termini europei o anche israeliani, ma nei territori governati dall’Autorità Palestinese è un salario consistente. Non è un gesto volontario, è uno scatto di anzianità normale: come gli statali italiani, anche gli assassini palestinisti condannati e reclusi godono di una progressione stipendiale fissa.
Per capire meglio questa notizia bisogna partire dal fatto indubitabile che Al-Qawasmi è reo confesso di un triplice rapimento e omicidio. Non si tratta di un atto di guerra, neppure estendendo al massimo questa nozione: i tre erano in età premilitare, non erano soldati e neppure appartenevano alla riserva, erano ragazzi, scolari. Il rapimento e l’omicidio non sono frutto di errore, sono stati fatti apposta, con l’intenzione di sequestrare tre giovani israeliani scelti a caso per usarli a fini di ricatto, come era stato usato Gilad Shalit qualche anno prima. L’omicidio fu commesso quando i rapitori temettero di essere stati scoperti. Sia pur motivato da obiettivi politici (dal punto di vista arabo) o più correttamente per fini terroristici, si tratta di un delitto comune, particolarmente ripugnante per l’età delle vittime, l’assenza di qualunque provocazione o motivazione personale: una morte inferta a caso, per la sola colpa di essere ebrei (non israeliani, perché è chiaro che i terroristi non avrebbero rapito e ucciso arabi israeliani). Ignobilmente alcuni giornali avevano parlato di “coloni” rapiti, cercando di giustificare il crimine. Ma almeno due dei tre ragazzi abitavano nel territorio “storico” di Israele, non in Giudea e Samaria e dunque tecnicamente non erano “coloni”, non più di chiunque a Gerusalemme vada a visitare la città vecchia ed entri dunque nel territorio rivendicato dall’AP.
E naturalmente, anche se fosse stato adeguata la definizione infamante che i palestinisti e i media europei applicano a coloro che esercitano un diritto stabilito da quasi cent’anni dalla comunità internazionale (col Trattato di San Remo e la delibera della società delle Nazioni che istituì il mandato britannico di Palestina allo scopo “di favorire l’immigrazione e la colonizzazione – “settlement” – ebraica), il crimine di essere “coloni” merita la pena di morte? Per citare il celebre monologo di Shakespeare, appena modificato “un ‘colono’ non ha occhi? Un ‘colono’ non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un musulmano?” E anche se il “crimine” di essere un”colono” fosse degno della pena di morte, questa potrebbe essere inferta da chiunque, senza processo e formalità, come si schiaccia uno scarafaggio trovato in cucina? E chi lo facesse averbbe merito della sua azione, tanto da meritare un cospicuo premio in denaro?
Questo è esattamente il messaggio dell’Autorità Palestinese: una rivendicazione del diritto a lasciar uccidere i suoi nemici, fossero pure ragazzi come in questo caso o donne, anziani bambini come in altri. Nessuno stato, nessun movimento politico, nessuna setta, per demoniaca che fosse ha mai rivendicato niente del genere. Perfino i nazisti avvolgevano i loro crimini nel segreto e nell’organizzazione burocratica che qui è clamorosamente assente. E questa è la ragione per cui Israele, l’America, perfino alcuni stati europei hanno deciso di non lasciar usare all’Autorità Palestinese i loro soldi per premiare e propagandare in questa maniera il delitto. Alcuni, stati europei, non tutti, non per esempio quella Francia di Macron che alcuni ingenui, anche fra gli amici di Israele, definiscono il campione dei diritti umani e che ha chiesto ufficialmente a Israele di continuare a forniure all’Autorità Palestinese i soldi con cui paga gli assassini, “per evitarne il collasso economico”. Come dire, proporre di assegnare un contributo fisso alla mafia per pagare i picciotti ed evitare che la Cupola faccia fallimento…