Perché è possibile, ma sbagliato e pericoloso parlare di “territori palestinesi occupati”

Il diritto di Israele su Giudea e Samaria

Ugo Volli
Ugo Volli
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Editoriali

Perché è possibile, ma sbagliato e pericoloso parlare di “territori palestinesi occupati”

Il diritto di Israele su Giudea e Samaria

Editoriali
Ugo Volli
Ugo Volli

Uno dei luoghi comuni più diffusi e meno fondati sul Medio Oriente è che il problema della regione sarebbe dovuto all’”occupazione israeliana dei territori palestinesi”. Per fare un esempio recente, l’ha ripetuto nei giorni scorsi la più celebrata allieva di Bernie Sanders alla guida dell’estrema sinistra dei democratici americani, Alexandria Ocasio-Cortez  candidata alla Camera per un collegio di New York.

In un’intervista televisiva che trovate qui  la nuova star del progressismo americano ha iniziato a deplorare  l'”occupazione della Palestina” e la “crescente crisi della condizione umanitaria” lì. L’intervistatrice Margaret Hoover allora le ha chiesto di approfondire ciò che intendeva con “l’occupazione della Palestina”: “Oh, uhm … Penso che quello che intendevo fosse, gli insediamenti che stanno aumentando in alcune di queste aree e luoghi in cui i palestinesi stanno incontrando difficoltà nell’accesso ai loro alloggi”.

Risposta bizzarra, bisogna ammettere: l’occupazione sarebbe innanzitutto “difficoltà nell’accesso agli alloggi”. Hoover allora ha chiesto a Ocasio-Cortez di approfondire ulteriormente, ottenendo solo un risolino: “Non sono un’esperta di geopolitica su questo argomento.”

Il fatto è che di non-esperti che pontificano sull’occupazione israeliana è pieno il mondo. Cerchiamo di capirne qualcosa. Occupazione, scrive la Treccani è “in genere, l’azione, l’operazione di occupare, cioè di prendere temporaneamente o stabilmente possesso di un luogo o di un bene, con mezzi legali o illegali, talvolta anche violenti, e il fatto di venire occupato [in diritto amministrativo] modo di acquisto della proprietà consistente nella presa di possesso di cosa che non appartiene ad alcuno, con l’intenzione di farla propria; [in diritto interazionale] l’operazione con la quale uno stato prende possesso di un territorio che non gli appartiene in sovranità, sia perché facente parte di un altro stato, sia perché non facente parte di alcuno stato”  Per il Sabatini Colletti “Presa di possesso, più spesso temporanea, di un posto, con mezzi legittimi o con la forza.” L’occupazione è dunque una situazione giuridica complessa, no necessariamente illegale, che può portare a varie conseguenza, compresa la presa del possesso.

Qual è la situazione dei territori che Israele chiama secondo la storia “Giudea e Samaria”, i giordani  “west bank”, cioè riva occidentale del Giordano, dato che loro stanno su quella orientale, e i palestinisti “territori palestinesi occupati”?  La prima cosa da sapere è che non è mai esistito nella storia uno stato palestinese su quelle terre, l’ultimo dominio arabo risale a circa mille anni fa, con l’impero abbaside, la cui capitale era però Baghdad, a un migliaio di chilometri di distanza. Gli arabi furono cacciati dai crociati, questi dai mamelucchi (di etnia turca). Dal XVI secolo fino al 1918 quelle terre divennero una parte della provincia di Siria dell’impero turco ottomano, la cui capitale era a Istanbul.

Tutte queste annessioni avvennero naturalmente per via bellica, cioè per occupazione. La prima decisione legale fece parte dei trattati che conclusero la Prima Guerra Mondiale, in particolare le decisioni della conferenza di San Remo (aprile 1920) poi confermato dalla Società della Nazioni (1922) che istituiva il “Mandato di Palestina” sotto controllo britannico allo scopo “della costituzione in Palestina di una nazione per il popolo ebreo”, “poiché con ciò è stato dato riconoscimento alla connessione storica del popolo ebreo con la Palestina e alle basi per ricostituire la loro nazione in quel paese”. Il territorio sotto questo mandato era la somma dell’intero stato di Israele (incluse Giudea e Samaria) e dell’attuale Giordania, che fu però subito separata dagli inglesi e data agli ex sceicchi della Mecca hashemiti. Nel ‘47 la Gran Bretagna rinunciò al mandato, l’Assemblea dell’Onu approvò un piano di divisione in due stati, che fu accettato da Israele e respinto dagli arabi; seguì la proclamazione dello Stato di Israele, la guerra di aggressione di 5 stati arabi i cui Israele si difese vittoriosamente, si stabilirono degli armistizi che esplicitamente non stabilivano linee di confine ma solo divisioni armistiziali. La Giordania, senza riconoscimento internazionale né alcuna base giuridica occupò Giudea e Samaria, inclusa Gerusalemme. Nel ‘67 in seguito a una nuova aggressione araba, Israele si difese di nuovo vittoriosamente e prese possesso di Gerusalemme, Giudea e Samaria, Golan e Gaza. In seguito il Golan venne annesso, Gaza fu sgomberata dalle truppe israeliane e Giudea e Samaria sono territori contesi fra Israele e l’”Organizzazione per la Liberazione della Palestina”, che non è uno stato, anche se aspira a diventarlo. Anche i trattati di Oslo non stabilirono uno stato palestinese, ma solo un’”autonomia” definendo in particolare varie zone di “autogoverno” arabo (la cosiddetta zona “A” definita dagli accordi, che comprende il 95% della popolazione araba della zona. 

Questa è ancora la situazione attuale. Forse si può parlare di “territori occupati” (ma sarebbero non illegalmente occupati, perché l’insediamento ebraico era uno degli scopi espliciti del mandato britannico, che è la base legale della situazione corrente) e forse anche di territori palestinesi (ma in quanto parte del mandato britannico, non certo in quanto proprietà di un popolo palestinese che in quel momento no era stato ancora affatto identificato in questa maniera). Ma sono termini equivoci, dato che sono utilizzati oggi per sostenere una volontà politica, senza basi legali, di attribuire quei territori a uno Stato Palestinese, che però non esiste ancora, perché ne mancano i requisiti, anche se si finge che ci sia. Se qualcuno si mettesse a parlare di uno “Stato Italiano del Ticino” e del “Ticino occupato dalla Svizzera”, questo non darebbe nessun diritto, ma esprimerebbe solo un desiderio, magari con qualche fondamento, dato che in Ticino si parla la lingua italiana. Lo stesso per i “territori palestinesi occupati.

Fin qui il discorso puramente giuridico. Naturalmente ce n’è uno storico culturale, che parte dalla Bibbia ebraica e arriva fino alla continua presenza nei secoli di ebrei in luoghi come Gerusalemme e Hebron, prima durante e dopo l’invasione araba del VII secolo. Gli ebrei, per esempio, erano in maggioranza a Gerusalemme già nel primo censimento turco a metà dell’Ottocento e lo sono rimasti fino alla brutale pulizia etnica realizzata dalle truppe giordane nel 1949. E c’è un discorso politico e militare sui pericoli di lasciar costituire sui “territori occupati” uno stato che potrebbe essere presto preda del terrorismo, come a Gaza. Ma di questo parlerò in altri articoli.

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