Motivi di sicurezza. Per questo l’organizzazione umanitaria israeliana United Hatzalah ha interrotto anzitempo la missione in Turchia ed è rientrata in Israele.
A renderlo noto è stato il vicepresidente Dovi Maisel, che ha affermato: “Sapevamo che c’era un certo livello di rischio nell’inviare la nostra squadra in questa zona della Turchia, che è vicina al confine siriano, ma abbiamo preso le misure necessarie per mitigare la minaccia per il bene della nostra missione”.
“Sfortunatamente – ha continuato Maisel – abbiamo appena ricevuto informazioni su una minaccia concreta e immediata alla delegazione israeliana e dobbiamo mettere al primo posto la sicurezza del nostro personale”.
Un portavoce della United Hatzalah ha ribadito: “Ci sono state minacce contro diverse delegazioni internazionali di rapire persone e tenerle in ostaggio”.
Minacce che secondo il portavoce non hanno visto coinvolgere esclusivamente la squadra israeliana, “ma anche molte altre hanno iniziato a concludere a causa di questo, a causa del modo in cui la gente del posto sta recependo il messaggio del governo”.
United Hatzalah aveva inviato un gruppo di circa 40 volontari, per lo più professionisti medici, che hanno assistito nelle operazioni di soccorso nel sud della Turchia, in particolare a Marash, una delle città più colpite dai terremoti.
Nelle intenzioni l’organizzazione avrebbe dovuto tornare dopo 10 giorni e invece le minacce l’hanno costretta a un repentino ritorno in patria, causa “minaccia concreta e immediata”.
Un episodio spiacevole, perché l’organizzazione umanitaria israeliana, come le altre di diverse bandiere, voleva esclusivamente aiutare e soccorrere le persone colpite dalle scosse sismiche.
Un peccato, perché, anche se nel dolore, aiutare e sentire l’altro avrebbe rappresentato una bella pagina di storia contemporanea.