Georges Bensoussan è stato assolto. Già questo è clamoroso, che sia stato assolto. Come, uno dei più grandi e rigorosi storici viventi, l’autore di L’eredità Di Auschwitz, Come ricordare, Storia della Shoah, Genocidio, una passione europea, e di molti altri libri fondamentali per comprendere l’antisemitismo, la sua genesi, le sue forme, è stato assolto? Da cosa? Dall’accusa di essere razzista, “islamofobo”. La “colpa” di Bensoussan è stata quella di avere commentato durante una trasmissione radiofonica francese l’affermazione di un sociologo algerino, Smain Laacher, secondo il quale L’“antisemitismo [degli immigrati arabi], è già archiviato nello spazio domestico[…] ed è quasi naturalmente depositato nella lingua. Uno degli insulti da parte dei genitori ai loro figli quando li vogliono rimproverare, consiste nel chiamarli ebrei. Questo tutte le famiglie arabe lo sanno”. E cosa avrebbe detto Bensoussan?, che in queste famiglie “l’antisemitismo si succhia con il latte materno”.
A quel punto è stato esposto al ludibrio pubblico, e accusato in modo infamante di “incitare all’odio razziale”. Il dispositivo dei nuovi custodi della sanità pubblica francese si è attivato prontamente tramite alcune sigle emblematiche (Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France – CCIF).
Si stagliano tra queste associazioni qualifiche nobilitanti come “diritti dell’uomo”, e “collettivo contro l’islamofobia“. Esso è oggi il reato d’opinione par excellence. Si difendono i “diritti dell’uomo” soprattutto quando è l’antisemitismo islamico a essere messo sotto accusa. Strano, perché nessun paese musulmano ha mai aderito alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, preferendo confezionarsi la propria il 19 settembre 1981 e fondandola sul Corano e sulla Sunna.
“Razzismo” e “islamofobia” sono oggi i corpi contundenti con coi la polizia del pensiero colpisce chiunque osi manifestare dubbi o esercitare critiche nei confronti di una fiction narcotizzante che racconta di un Islam intessuto prevalentemente di purezze e incanti.
Infondo a Bensoussan è andata assai meglio di Robert Redeker, il quale, sempre in Francia, per avere attaccato duramente Maometto e l’Islam in uno suo articolo apparso sul numero di Le Figaro del 19 settembre 2006, è da allora costretto a vivere sotto scorta.
Ma Bensoussan non ha attaccato né l’Islam né Maometto, si è limitato a parlare di una realtà precisa, l’antisemitismo insegnato come lessico famigliare in numerose famiglie arabe. E, lo ricordiamo, la sua è stata solo una glossa al commento di un autore arabo-algerino.
In suo sostegno, è intervenuto uno scrittore tra i più noti, algerino anch’esso, Boualem Sansal. In una lettera inviata alla Presidente della XVII Camera penale del Tribunale di Parigi in veste di testimone a favore dello storico francese, Sensal scrisse:
“In Algeria, non c’è e non c’è mai stato, e spero che non ci sarà mai, un affaire Bensoussan. Come non c’è mai stato un affaire Sansal. In Francia, per aver denunciato l’islamismo e attirato l’attenzione del pubblico sulla sua incredibile capacità di attrazione sui giovani privi di riferimenti, e per aver dichiarato che l’islam non è compatibile con la democrazia, sono stato considerato da alcuni un islamofobo. In Algeria niente di tutto questo, esprimo le stesse opinioni, i miei libri vendono e sono letti, i miei interventi in Francia sono ripresi quasi ogni giorno dai media algerini, e spesso duramente commentati, ma mai sono stato accusato di islamofobia. Le parole che si rimproverano a Georges Bensoussan in Francia fanno parte dei discorsi che tengo quasi quotidianamente in pubblico in Algeria… Dire che l’antisemitismo fa parte della cultura islamica, è semplicemente ripetere ciò che dice il Corano, ciò che viene insegnato nella moschea (che è prima di tutto una scuola) e senza dubbio in molte famiglie tradizionaliste. L’antisemitismo è un riflesso acquisito molto presto. Poi la vita farà sì che si praticherà o si respingerà ciò che si è appreso”.
L’assoluzione di Georges Bensoussan smaschera la violenza intimidatoria dei suoi censori, il loro ricatto culturale che si esercita indiscriminatamente contro chiunque osi parlare senza estremismi o isterie, di come l’antisemitismo sia presente e coltivato in un’alta percentuale del mondo islamico. Dire la verità non è né può mai essere un esercizio d’odio.