Una sukkà per accogliere. La sensazione che si prova alla fine del giorno di Kippur è che siamo arrivati al momento cruciale delle feste autunnali. In realtà Kippur aveva soprattutto una funzione ed era quella di purificare il Tempio e di renderlo idoneo ad accogliere le migliaia di persone che si sarebbero riversate a Gerusalemme per la festa di Sukkot.
E’ però necessario operare su due piani: su quello del singolo e della collettività di cui ognuno è parte, purificandolo del male fatto, e su quello del Tempio che avrebbe accolto tutte le persone, e che doveva a sua volta essere “sanificato”, in quanto le azioni dell’uomo lasciano sempre un segno sull’ambiente. Kippur, per quanto importante, ha quindi una funzione per preparare la festa di Sukkot.
E’ noto che Sukkot è chiamata “tempo della nostra gioia” e la Torah afferma che le disgrazie e i problemi nascono per “non aver servito il Signore con gioia”: il servizio con gioia è essenziale per servire veramente il Signore. D’altra parte la gioia non può essere completa se non è stata preparata con purezza. Kippur ha quindi la funzione di aiutarci a raggiungere la necessaria purezza, per poter essere in piena armonia con un ambiente che è stato a sua volta purificato.
Secondo il concetto di Zedakà che affermiamo nella preghiera di Untanè Tòkef, Il processo di purificazione passa anche attraverso l’accoglienza degli altri con gioia. La sukkà simboleggia anche la nostra disponibilità ad accontentarsi del minimo indispensabile – tre pareti e un tetto instabile dove è sufficiente che entri una persona anche con la sola testa. In tal modo, si crea lo spazio per invitare gli Ushpizin, i sette santi ospiti rappresentanti di sette modi di essere dell’uomo: a Sukkot si può e si deve fare spazio agli ospiti, per dedicarsi agli altri, anche e soprattutto quando sono stranieri che vengono a chiedere asilo presso la nostra sukkà.