Il Sudafrica ha ritirato l’invito alla squadra di rugby israeliana Tel Aviv Heat, escludendola dalla Mzansi Challenge 2023.
Il presidente della South Africa Rugby Union (SARU), Mark Alexander, ha spiegato di aver preso la decisione dopo “aver ascoltato le opinioni di importanti gruppi di soggetti interessati”.
Decisione atta a evitare:
“Che la competizione diventi una fonte di divisione, nonostante il fatto che Israele sia un membro a pieno titolo del World Rugby e del CIO”.
Chi siano questi “soggetti interessati” non è stato specificato. Secondo il vicepresidente dalla South African Jewish Board of Deputies (SAJBD), Zev Krengel, il Sudafrica ha impedito alla squadra di rubgy israeliana di entrare nel paese dopo la pressione del Movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions) e altri gruppi antisemiti:
“Che hanno fatto pressione su di loro e hanno minacciato di morte i membri del Consiglio di Amministrazione”.
Krengel ha continuato:
“L’ironia è che questa è la stessa Unione che 35 anni fa non permetteva ai giocatori di colore e ai giocatori di colore di giocare per gli Springboks. Quindi, siamo molto tristi per un’organizzazione che ha letteralmente incarnato il regime dell’apartheid che si è comportata esattamente allo stesso modo, 25 anni in un paese libero e in una democrazia libera”.
Che il Sudafrica abbia spesso puntato il dito contro Israele non è certo una novità.
Difficile non tornare al luglio scorso, quando il ministro sudafricano per le relazioni internazionali, Naledi Pandor, si era lanciato nel solito mendace paragone di apartheid tra lo Stati ebraico e il suo paese:
“La narrativa palestinese evoca esperienze della storia del Sudafrica di segregazione e oppressione razziale… Israele sta commettendo crimini di apartheid e persecuzione contro i palestinesi”.
Adesso basta. Basta perché tale paragone, oltre che essere falso, riesce in un solo colpo a offendere la democrazia d’Israele e le vittime sudafricane di apartheid.
Ma in Sudafrica in molti sono disposti a calpestare la propria storia per attaccare Israele.
Convinzione o paura?