E’ passato un anno da quando lo Stato Islamico si è autoproclamato Califfato. Da quel momento l’organizzazione terroristica ha costruito un vero e proprio “brand della Jihad” e diffuso paura nelle persone con i suoi atti di violenza estrema. Abu Bakr al-Baghdadi auto-nominandosi Califfo Ibrahim ha richiesto a tutti i musulmani del mondo di sottomettersi alla sua volontà per sconfiggere l’Occidente ed espandere il territorio sotto il controllo dei suoi uomini.
Ad oggi sono trecentomila i chilometri quadrati in cui lo Stato Islamico può terrorizzare i civili con le brutalità divenute ormai fondamentali per la sua esistenza. Secondo Karim Bitar dell’Istituto per gli Studi Internazionali e Strategici di Parigi “Daesh (acronimo arabo corrispondente a ISIS) sta attuando una tecnica in cui l’impatto psicologico è più importante degli atti stessi. Più di ogni cosa è questa guerra psicologica che ha permesso a Daesh di affermarsi come l’incarnazione della minaccia assoluta agli occhi dell’Occidente.”
Lo Stato Islamico è emerso dai sopravvissuti di quello che era il movimento “Stato Islamico in Iraq”, un’organizzazione terroristica affiliata ad al-Qaeda smantellata dall’esercito americano durante l’ultimo intervento militare. Grazie alla guerra civile il gruppo ha potuto espandersi in Siria dove ha inghiottito parte del territorio non più controllato dal Presidente Assad. A metà del 2014 lo Stato Islamico ha assaltato Mosul guadagnandosi le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. La sua capitale oggi è situata a Raqqa in Siria, una zona di vitale importanza per le ricche risorse petrolifere.
Ovunque il Califfato abbia affermato la sua presenza sono stati pervenuti esodi di massa a causa dei timori per le esecuzioni sommarie, le conversioni forzate, le torture e la riduzione in schiavitù delle donne. Gli omicidi di massa infatti sono diventati uno dei tratti distintivi, documentati in foto e video diffusi allegramente dai suoi sostenitori. Ne sono un chiaro esempio le clip delle decapitazioni di operatori umanitari e giornalisti stranieri e quella del pilota giordano catturato e poi bruciato vivo in una gabbia. Peter Harling del Crisis Group ha affermato che lo Stato Islamico sta sfruttando “una sorta di ritualizzazione della violenza per attirare l’attenzione internazionale”. Inoltre ha aggiunto che il gruppo ha dimostrato un certo pragmatismo nel non distruggere la città di Palmyra garantendosi così il sostegno della popolazione locale.
L’appello alla fedeltà al Califfo Ibrahim ha raccolto risposte positive in Libia, Egitto, Arabia Saudita, Tunisia, Yemen e Pakistan dove varie sigle islamiste hanno scelto di aderire all’ideologia dello Stato Islamico. Questi gruppi sono un immenso serbatoio di combattenti pronti a morire per la causa della Jihad, una risorsa indispensabile per un’entità che ha giurato guerra all’ultimo sangue a tutti i suoi nemici.
Nonostante le minacce di attentati in Occidente, il primo obiettivo dello Stato Islamico resta il consolidamento del potere in Siria e in Iraq. Il gruppo al momento sta avendo un discreto successo nelle zone a maggioranza sunnita che hanno sofferto l’emarginazione voluta dal regime alawita di Assad e da quello sciita di al-Maliki. Ora al-Baghdadi è concentrato sull’instaurazione di una vera e propria amministrazione civile in grado di fornire servizi e dirigere le merci. Il più grande ostacolo alla realizzazione di questo programma resta la corruzione dilagante e il modo personalistico di gestire la giustizia da parte dei leader locali. Una cosa è certa però: il Califfo Ibrahim ci sta dicendo che lo Stato Islamico è una realtà e per molti musulmani si tratta di un’alternativa molto più allettante della democrazia.