Basta selfie, sorrisi fuori luoghi e pose poco consone nei luoghi della Shoah postati sui social network. È la base del progetto di Shahak Shapira, che ha voluto contrastare una tendenza che ha preso piede stabilmente nei visitatori del Memoriale dell’Olocausto a Berlino. L’artista israeliano, 28 anni, da 14 emigrato nella capitale tedesca assieme alla famiglia, ha creato una pagina web chiamandola Yolocaust, una crasi dell’hashtag “YOLO” (acronimo “You Only Live Once”, “si vive una volta sola”) – molto utilizzato tra i giovani nei loro post sui social network – e la parola Olocausto, che ha fatto registrare centinaia di migliaia di visite.
Shapira ha recuperato numerose fotografie scattate al Memoriale e pubblicate sul web e poi ha creato dei fotomontaggi, che cambiano totalmente l’immagine originale: la scenografia dello scatto non è uno dei luoghi simbolo dell’Olocausto ma un campo di sterminio nazisti, tra cadaveri e prigionieri ridotti a scheletri.
Una provocazione immediatamente divenuta virale sul web, quella ideata da Shapira che ha spiegato:
“Il Memoriale non è lì per gli ebrei o per le vittime del nazismo. È un monito morale per le future generazioni. Queste immagini dimostrano quanto facilmente si possano dimenticare le tragedie del passato”.
L’artista israeliano ha svelato un particolare del progetto: le foto sono state usate senza chiedere il consenso dei protagonisti, i quali posso chiedere e ottenere la rimozione:
“Per ora mi è arrivata soltanto una richiesta. La persona che mi ha contattato non era affatto arrabbiata. Anzi, era dispiaciuta: aveva capito di aver sbagliato”.
Parlando con il giornale israeliano Haaretz, Shapira ha detto di aver ricevuto molti commenti positivi, anche da alcuni lavorati dello Yad Vashem di Gerusalemme e da alcuni insegnanti “che mi hanno chiesto di poter usare il mio progetto per le loro lezioni”.
Che sia questa la strada per far capire ad alcune persone la tragicità della Shoah? Forse i buoni insegnamenti di un tempo non bastano più a far capire un evento drammatico come quello che ha portato alla morte milioni di persone?
O più semplicemente gli autori di questi selfie sentono un distacco con quella parte di storia, che percepiscono come lontana e avulsa dal contesto contemporaneo?