È in un anonimo seminterrato dimenticato dalla storia che si potrebbe riscrivere quanto avvenne nel lager di Gusen, uno dei più feroci campi di concentramento della macchina di morte nazista.
Partiamo dalla fine di settembre-inizio ottobre 2018, quando a soli cinque chilometri dalla piccola città dell’Alta Austria vennero rinvenuti migliaia di resti umani sotto la stazione ferroviaria di Lungitz.
Già allora gli esperti dissero che i resti non avevano più di 75 anni e quindi considerata la posizione e la logistica, la loro convinzione è che si trattasse dei resti di deportati di Gusen.
Ora arriva una parziale conferma dal collaboratore del Memoriale di Mauthausen Stephan Matyus che, presentando i primi risultati, ha detto: “Riteniamo che si tratti proprio di resti di deportati del campo di Gusen”.
Ancora più convinta si è dimostrata la docente universitaria Claudia Theune, secondo cui la cenere ritrovata potrebbe esser stata usata per realizzare la sottostruttura dei binari della stazione di Lungitz: “Si tratta di resti della prima metà del ventesimo secolo”.
Più prudente il sindaco di Gusen, Ernst Lehner, che ha già disposto ulteriori analisi per fare “maggiore chiarezza”.
Sulla vicenda è intervenuta anche la presidente del Comitato del memoriale di Gusen, Martha Gammer:
“Abbiamo confrontato mappe e documenti relativi alla fabbrica di mattoni in cui tra il 1941 e il 1943 venivano impiegati come lavoratori-schiavi i deportati di Gusen: i binari che coprono le ceneri sono stati costruiti tra settembre 1944 e la fine della guerra, come documentato pure da foto aeree realizzati dalla British Army. Ad un certo punto questa fabbrica fu chiusa e venne usata come deposito per materiali legati alla produzione dei caccia Messerschmitt nelle gallerie di Gusen. In questo edificio ovviamente facevano lavorare i deportati. Non solo: lì accanto sorgeva anche un gigantesco forno”.
Il lager di Gusen almeno in teoria era un sottocampo di Mauthausen, in realtà molto più grande, con un numero di vittime più altro fra cui molti italiani.