Non tutti gli eroi decantano le loro gesta. C’è chi non ne parla o lo fa in maniera sibillina. Come Ho Feng-Shan, console generale a Vienna della Repubblica di Cina dal 1938 al 1940, il cui coraggio è noto grazie a un articolo scritto dalla figlia sul Boston Globe nel 1997, anno della morte del padre.
Nelle sue memorie Ho Feng-Shan ha lasciato solo qualche indizio:
“A partire dall’Anschluss, la persecuzione degli ebrei da parte dei “demoni” di Hitler è diventata sempre più feroce. Io ho usato ogni mezzo possibile per aiutarli, senza risparmiare le mie forze, e salvare innumerevoli ebrei”.
Ho Feng-Shan era di stanza a Vienna nel 1938, anno in cui l’Austria venne annessa alla Germania nazista, come primo passo per il disegno di conquista del Terzo Reich. In quel periodo gli ebrei erano già perseguitati e in pochi erano disposti a tendere loro la mano.
Ho Feng-Shan non si tirò indietro, concedendo a migliaia di persone i documenti per lasciare il paese e scappare a Shangai, dove sarebbero stati di nuovo liberi di scegliere il proprio futuro.
In quegli anni avere un visto era estremamente difficile a causa delle strettissime politiche immigratorie degli Stati, molti dei quali non volevano incrinare i rapporti con Adolf Hitler.
Anche l’ambasciatore cinese a Berlino, Chen Jie, si era raccomandato che alcun documento dovesse esser concesso agli ebrei, ma Ho agì diversamente e per questo attirò su di sé l’attenzione dei suoi superiori che lo resero oggetto di un’indagine interna, credendo che il rilascio di quei documenti fosse fatto in cambio di soldi.
E invece come ha ricordato la figlia Manli suo padre:
“Diceva che vedendo il destino a cui erano condannati gli ebrei, non si poteva non provare compassione per loro. Per lui era naturale fare qualcosa, si sentiva obbligato ad aiutarli dal punto di vista umano”.
Ho Feng-Shan fu uno dei primi a capire il grande pericolo a cui stavano andando incontro gli ebrei, per questo nel 2000 è stato definito dallo Yad Vashem “Giusto tra le nazioni”, unico cinese insieme a Pan Yun-shun.