La storia di San Simonino da Trento: un paradigma dell’antisemitismo. La prima volta avvenne a Norwick, in Inghilterra, nel 1144, al tempo delle Crociate.
Racconta la cronaca anglosassone del 1155:
“Al tempo di [Re Stefano], gli ebrei di Norwich si impossessarono di un bambino cristiano prima di Pasqua e lo torturarono con tutte le torture con cui nostro Signore fu torturato e il Venerdì Santo lo impiccarono su una croce a causa di nostro Signore, e poi lo seppellirono”. Naturalmente si tratta di una menzogna e ne conosciamo anche l’autore, un monaco che costruì la sua carriera sullo sfruttamento di questa calunnia. Come scrive Alan Dundies, autore di el più importante libro sul tema (The Blood Libel Legend: A Casebook in Anti-Semitic Folklore. University of Wisconsin Press.) “Tommaso di Manmouth, il monaco che inventò il genere della calunniadel sangue e montò il caso di William, scrisse che “Theobald [un ebreo convertito, che disse di aver incontrato a Cambridge, la cui esistenza non risulta] gli rivelò che gli ebrei di Spagna si riunivano ogni anno a Narbonne, in per organizzare il sacrificio annuale prescritto: ‘negli antichi scritti dei nostri Padri è scritto che gli ebrei, senza lo spargimento di sangue umano, non potranno né ottenere la loro libertà, né mai tornare nella loro patria. Quindi nei tempi antichi fu stabilito che ogni anno gli ebrei dovevano sacrificare un cristiano in qualche parte del mondo per mostrare disprezzo a Cristo, vendicarli perché la morte di Cristo li aveva resi schiavi in esilio […] Ogni anno, gli ebrei di Narbonne tirano le sorti per determinare il paese in cui il sacrificio avrebbe avuto luogo.”
In questa prima versione ci sono già gli elementi determinanti della calunnia: la congiura internazionale, la tortura, l’uccisione e il sangue di un bambino innocente (“come Cristo”), di cui ben presto si dirà che venga mescolato al pane azzimo pasquale. Gli ebrei sono dipinti in questa maniera non solo come crudeli assassini (contro il comandamento che impone di non uccidere), mangiatori di sangue umano (contro il precetto molte volte ripetuto nella Torà che proibisce di usare il sangue di qualunque essere vivente nell’alimentazione), ma anche avvolti nella più strana contraddizione teologica: da un lato credenti nella divinità di Gesù tanto da pensare che l’imitazione della sua morta abbia valore salvifico, dall’altro increduli e bestemmiatori.
Nonostante l’assurdità dell’accusa, essa fu ripetuta centinaia di volte negli anni e nei secoli successivi, diffondendosi in Francia, in Germania, in Spagna, in Polonia e anche in Italia e altrove. Il papato e gli imperatori, almeno fino alla metà del XVI secolo, condannarono le accuse, ma esse si moltiplicarono localmente, perché ogni calunnia del sangue portava allo sterminio della comunità accusata, all’espropriazione dei loro beni, all’eliminazione di pericolosi concorrenti commerciali e alla creazione di un santo locale nella persona della piccola vittima, anche se magari non se ne conosceva il nome e non se ne era ritrovato il corpo, e dunque probabilmente non esisteva, come accadde per esempio in Spagna nel 1487, molto opportunamente alla vigilia della decisione di espellere gli ebrei. Un santo locale poi voleva dire pellegrinaggi, feste, donazioni per le Chiese, insomma era un affare, al costo che sembrava evidentemente trascurabile di un gruppo di ebrei orribilmente torturati, squartati, bruciati vivi, nella migliore delle ipotesi convertiti a forza e poi comunque uccisi.
Questi casi si ripeterono fin ben dentro il secolo scorso, fino al 1946, a Kielce (Polonia) anche perché a partire dalla Controriforma la Chiesa si schierò a favore di questi processi, in particolare con una feroce campagna dei gesuiti e della loro rivista Civiltà Cattolica. In Italia la calunnia del sangue fu attiva fra l’altro a Torino nel 1457, a Treviso, Bergamo, Motta di Livenza, Seriate nel 1480, nel 1485 a Marostica, in almeno 5 occasioni fra il 1824 e il 1860 in piccole ,località dell’Italia settentrionale, fra cui clamoroso fu il processo di Badia Polesine nel 1855. Ma il caso più importante è quello di Simone Unverdorben (“San Simonino”) accaduto a Trento nel 1475, cui in questi giorni molto lodevolmente la Diocesi di Trento nel suo museo diocesano ha dedicato una mostra, intitolata “L’invenzione del colpevole”.
Il caso di Trento non è diverso da quello di Norwich o da cento altri. Il 23 marzo 1475, un bambino di due anni, per l’appunto Simone, scompare e viene trovato tre giorni dopo affogato in una roggia che scorreva vicino alla casa dei suoi e anche a quella dove abitavano tre famiglie ebraiche, e di cui si può vedere qualche resto in una strada non lontana dal centro della città. Che in situazioni di estrema povertà abitativa e di difficoltà di sorvegliare i bambini da parte di famiglie in cui tutti lavorano molto duramente, un bambino sia vittima di un incidente è purtroppo un evento non improbabile.
E’ un ebreo, Samuele da Norimberga, a denunciare alle autorità il ritrovamento del corpo del bambino. Viene torturato a morte e costretto a confessare di essere lui l’omicida insieme a tutti gli ebrei locali, che sono orribilmente sterminati. Il Papato e anche l’impero inizialmente rifiuta di riconoscere la santità del bambino e l’attribuzione della colpa agli ebrei; manda un ispettore che trova il processo del tutto privo di credibilità e regolarità. Ma il locale conte-vescovo è determinato a vedersi riconosciuto il suo delitto del sangue, appoggiato da alcuni predicatori degli ordini mendicanti. Alla fine Roma cede, autorizza il culto di “San Simonino” e riconosce come vera la calunnia del sangue, con notevoli effetti di diffusione. La sola reazione possibile da parte ebraica è una scomunica (un “herem”) sulla città di Trento, che proibisce agli ebrei di soggiornarvi e lavorarci.
Soltanto poco più di cinquant’anni fa, con il contributo determinante di una storica ebraica, la mia prozia Gemma Volli, il Vaticano viene persuaso a riaprire le carte del processo, che per fortuna si sono conservate, e a riconoscere la sua iniquità, cancellando il culto di “San Simonino”, nonostante le proteste di integralisti locali. Questa rievocazione non sarebbe completa se non ricordasse l’infelice libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue, in cui si lasciava spazio per pensare che ci fosse qualche credibilità dell’accusa. Il libro fu lanciato in maniera scandalistica sul Corriere della Sera da un altro storico di origini ebraiche ma che ha spesso mostrato antipatia per l’ebraismo, Sergio Luzzatto, e finì con l’alimentare nuove calunnie antisemite, tanto che Toaff fu costretto a ripubblicarlo con una n uova prefazione che chiariva meglio il senso storico della vicenda.
La storia di Simone/San Simonino si ripetè molte volte ancora, anche in casi clamorosi come quelli di Damasco nel 1840 dell’Ucraina all’inizio del secolo scorso, di Kielce nel 1946 e fu molto sfruttata dalla propaganda nazista. Oggi si presenta in una variante altrettanto orribile, nell’idea che Israele “uccida i bambini” e prelevi se non il sangue gli organi interni ai palestinesi. E’ una storia del tutto insensata, ma rilanciata spesso dalla stampa antisemita. L’ultimo caso clamoroso è quello di un quotidiano svedese importante , l’Aftenbladet”, che alcuni anni fa fece un’inchiesta in cui diceva che l’esercito israeliano ammazzava i palestin esi per prelevarne gli organi interni. Israele non solo smontò la storia (smentita anche dalla famiglia dell’arabo morto nel solo caso concreto citato dal giornale), ma chiese ufficialmente al governo svedese di intervenire per condannare la calunnia antisemita. La risposta fu negativa, in nome della “libertà d’opinione”. Purtroppo rischiamo di vedere ancora molte montature come quella condotta in nome di Simone Unverdorben .