Una base militare siriana nei pressi di Homs, conosciuta come base T4, cento chilometri a nord di Damasco, è stata colpita da un raid aereo, in cui sarebbero morti almeno 12 militari.
In un primo momento sul banco degli imputati erano saliti gli Stati Uniti, accusati dell’attacco come risposta alla strage del giorno precedente a Douma – ultima roccaforte di miliziani anti regime – dove sono morte almeno 100 persone, tra cui donne e bambini.
Strage arrivata a poche ore dal tweet di Donald Trump, che aveva accusato Russia e Iran di appoggiare il regime siriano e etichettava Bashar al-Assad come un “animale” che avrebbe “pagato caro” l’utilizzo di armi non convenzionali.
Il Pentagono, però, ha negato ogni coinvolgimento. A quel punto le “attenzioni” siriani e russe sono state rivolte verso Israele.
Mentre la Siria ha puntato il dito contro lo Stato ebraico in maniera piuttosto generica, Mosca ha fornito, a detta sua, alcuni dettagli specifici: a lanciare una ventina di missili Cruise contro la base militare sarebbero stati due F-15 israeliani. Secondo Mosca, Israele avrebbe avvertito gli Usa prima di compiere l’attacco.
Nel frattempo, Trump ha annunciato decisioni piuttosto importanti dopo le “atrocità intollerabili” accadute a Douma:
“Per me non ci sono molti dubbi su chi sia stato”.
Il segretario Usa alla Difesa, James Mattis, ha affermato di “non escludere nulla” in merito a una possibile azione militare contro il regime di Assad.
La Russia, dal canto suo, tramite il suo ministro degli Esteri Sergey Lavrov, ha sostenuto che i suoi esperti militari non hanno rilevato “tracce di cloro o di altre sostanze chimiche usate contro i civili” a Douma.
Dichiarazioni che hanno fatto da apripista alle parole dell’ambasciatore russo all’Onu Vassily Nebenzia, che nel corso della riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza ha bollato come “fake news” le notizie sulla strage di Douma, avvertendo gli Stati Uniti che ci saranno “gravi ripercussioni” in caso di attacco americano.