La Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni unite è senza dubbio una delle risoluzioni dell’ONU, relative al Medio Oriente, più note e al contempo più travisate.
Su questa risoluzione si sono radicate posizioni politiche e diplomatiche che ancora oggi sono considerate inscalfibili ma che di legale non hanno nulla.
Di queste posizioni le più importanti riguardano Gerusalemme – non riconosciuta come capitale di Israele dalla comunità internazionale – e la presunta occupazione illegale, da parte di Israele, del territorio palestinese.
Comunemente si crede che lo Stato di Israele sia nato in seguito alla Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU. Ma questa convinzione, semplicemente, è una falsità.
Le principali tappe storiche e giuridiche che hanno portato alla nascita del moderno Stato di Israele sono: la Conferenza di Sanremo del 1920, il Mandato britannico di Palestina del 1922, la Dichiarazione di Indipendenza del 14 maggio 1948, l’ammissione all’ONU dell’undici maggio 1949 a seguito delle Risoluzioni 69 del Consiglio di Sicurezza e 273 dell’Assemblea Generale, come cinquantanovesimo Stato membro.
Gli altri atti legali fondamentali per la creazione dello stato di Israele furono la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 73 del 1949, che sanciva l’obbligatorietà di un accordo tra le parti per dirimere tutte le questioni ancora aperte, e gli accordi di cessate il fuoco firmati nel 1949 con Libano, Siria, Giordania ed Egitto. Va sottolineato che questi accordi, per espressa volontà araba, non sancirono i confini del nascente Stato di Israele, ma fissarono semplicemente delle linee armistiziali e perciò non definitive.
Quando l’Assemblea Generale dell’ONU, con la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947, decise la spartizione del territorio del Mandato britannico di Palestina, fece semplicemente una “raccomandazione” alla Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria, di attivarsi per procedere alla spartizione territoriale del Mandato (vedi Cartina 1), così come era stata suggerita dalla commissione ONU, l’UNSCOP, incaricata di studiare come risolvere il problema di convivenza tra ebrei e arabi nel territorio mandatario.
La Gran Bretagna, però, decise di non portare avanti l’incarico a causa del rifiuto arabo della soluzione proposta.
Bisogna sapere che per rendere vincolante questa “raccomandazione” i due soggetti ebrei e arabi – coinvolti nella spartizione, dovevano dare il loro assenso. Gli ebrei accettarono mentre gli arabi apposero un secco rifiuto e decisero per la guerra. Inoltre, cosa più importante, come recita il comma a) della 181, il Consiglio di Sicurezza avrebbe dovuto prendere tutte le misure necessarie per implementare questa Risoluzione, cosa che non che non fu fatta. Inoltre, come recita il comma c) della 181, qualsiasi tentativo di “alterare con la forza” le disposizioni della risoluzione costituivano una “minaccia alla pace” che sarebbero dovute essere contrastate con l’uso della forza in base al Capitolo VII dello Statuto dell’ONU. Anche questo fu disatteso.
Bisogna precisare che l’unico organo, in sede ONU, preposto a prendere decisioni vincolanti è il Consiglio di Sicurezza (solamente in base al Capitolo VII o all’art. 25 dello Statuto ONU). Gli atti vincolanti del Consiglio di Sicurezza diventano leggi del diritto internazionale. Mentre l’Assemblea Generale è semplicemente un organo politico è non ha facoltà di compiere atti vincolanti come stabilito dalla Statuto dell’ONU (artt. 10, 11 e 12). Tranne che in materia di bilancio e di spese (art. 17).
In conclusione la Risoluzione 181 rimase lettera morta in primis per il rifiuto arabo e il loro atto di aggressione contro questa “raccomandazione” – unico caso al mondo di aggressione militare nei confronti di un atto dell’ONU – per di più, questa risoluzione per diventare vincolante doveva essere implementata e conclusa con una risoluzione vincolante del Consiglio di Sicurezza (così come previsto anche dall’art. 27 del Mandato britannico di Palestina).
Va sottolineato, inoltre, che la Risoluzione 181, non è più citata in nessuna risoluzione successiva concernente i “territori”, ad ulteriore riprova del suo valore nullo. Basta fare una comparazione, ad esempio, con la Risoluzione 242 del 1967 che è la base – ed è sempre citata – di tutte le successive risoluzioni concernenti Israele, e dei trattati di pace con Giordania, Egitto e degli accordi di Oslo. Questa comparazione fa comprendere bene quando una risoluzione è fondamentale per tutti i successivi sviluppi politico-diplomatici e quando, invece, perde del tutto il suo valore.
Ora voler riprendere da parte degli arabi, con la compiacenza di numerosi paesi europei, a distanza di tanti anni, un atto che non ha mai acquisito valore legale proprio per la loro decisione di muovere guerra nei confronti dell’atto stesso, non ha nessuna giustificazione legale oltre che morale.
Gerusalemme
La Risoluzione 181 è ancora oggi usata a pretesto da moltissimi Paesi per non riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele. Anche questa tesi non ha basi legali.
Per prima cosa, la 181 non ha acquisito nessun valore legale, di conseguenza tutte le sue parti non hanno valore. Nello specifico la questione di Gerusalemme, veniva disciplinata nella parte III della risoluzione ad essa dedicata. La 181 prevedeva che la città non fosse assegnata a nessuna delle due parti, né tantomeno che fosse divisa, ma semplicemente, doveva essere un “corpus separatum” amministrato direttamente dalle Nazioni Unite (vedi documento 1). In pochi, però, si ricordano che al punto D, sempre nella parte III, è specificato che questa disposizione era di durata limitata e che, dopo 10 anni dalla sua entrata in vigore, doveva essere effettuato un referendum tra gli abitanti di Gerusalemme per decidere se la città dovesse essere annessa allo Stato degli Ebrei o a quello degli Arabi (vedi documento 2). E’ da tener presente che la maggioranza della popolazione residente a Gerusalemme già era ebraica da molti anni. In ogni caso l’invasione giordana della città ne rese nulla la disposizione.
Infine, è utile ricordare che è diritto di tutti gli Stati riconosciuti e membri dell’ONU, decidere quale debba essere la propria capitale. Israele ha scelto Gerusalemme. Non si capisce perché questa regola debba valere per tutti gli Stati riconosciuti tranne che per Israele.
Vista l’inapplicabilità legale della Risoluzione 181 attraverso ulteriori risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza, concernente la spartizione della Palestina a causa del rifiuto arabo e successivamente dell’invasione araba del territorio; ciò che rimaneva vincolante, per il diritto internazionale, erano tutte le disposizioni mandatarie sancite dalla Società delle Nazioni, con l’approvazione del Mandato britannico di Palestina del 24 luglio 1922. Tali disposizioni furono fatte proprie dall’ONU con l’art. 80 del suo Statuto: quindi erano gli ebrei i soggetti legittimati – per il diritto internazionale – alla costituzione del loro Stato che decisero di chiamare Israele. Inoltre, la norma del diritto internazionale (Principio della successione degli Stati) che stabilisce i confini, prevede che un nuovo Stato ricalchi esattamente i confini dell’entità amministrativa che l’ha preceduto – come per tutti gli altri casi verificatesi nel mondo – Israele quindi aveva e ha diritto ai confini della Palestina mandataria. Le uniche deroghe previste, a questo principio, sono gli accordi tra Stati confinanti. Israele ha formalizzato anche questi accordi con i trattati di pace con l’Egitto nel 1978 e con la Giordania nel 1994.
Il diritto internazionale non prevede in maniera chiara e definitiva come comportarsi se una parte del territorio mandatario sia occupata illegalmente da un Paese terzo, come nel caso di Giordania ed Egitto con Giudea, Samaria e Striscia di Gaza. Si può, però, affermare con certezza che Israele ha un “diritto di rivendicazione” più forte dei Paesi che occuparono illegalmente quei territori. In ogni caso, Giordania ed Egitto hanno rinunciato ad ogni rivendicazione territoriale quando hanno firmato i trattati di pace con Israele.