Prima di entrare in merito alla complessa formulazione della Risoluzione 242, è opportuno ripercorrere, brevemente, gli avvenimenti salienti che portarono alla scoppio della guerra che cambiò definitivamente gli equilibri in Medio Oriente: la guerra del Giugno del 1967. Comunemente si crede che la Guerra dei Sei Giorni sia iniziata il 5 giugno 1967. Ma in realtà il “primo colpo” fu sparato alcune settimane prima, e più precisamente dall’Egitto, come poi fu riconosciuto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La penisola del Sinai, che divide l’Egitto e Israele, era rimasta dal 1956 al maggio del 1967 una zona smilitarizzata (l’Egitto poteva dislocare un numero esiguo di soldati dotati solo di armamento leggero, non erano ammessi mezzi corazzati e aerei da combattimento), in base agli accordi per il cessate il fuoco che misero fine alla Guerra del 1956.
Nel Sinai era, inoltre, dislocata una nutrita forza in interposizione composta da caschi blu dell’ONU: oltre 4.000 uomini disposti in 41 punti di osservazione che andava da Gaza fino a Sharm el-Sheikh sul mar Rosso. Per volere del presidente egiziano Nasser, l’esercito egiziano iniziò a rimilitarizzare la penisola del Sinai schierando, tra il 15 e il 16 maggio, diverse divisioni di fanteria (oltre 30.000 uomini), di mezzi corazzati (alcune centinaia di carri armati T54 e T55) e di unità d’artiglieria pesante. Nelle settimane successive queste forze furono raddoppiate in uomini e mezzi. Questa escalation era una evidente violazione degli accordi per il cessate il fuoco sottoscritti nel 1956. La sopra menzionata forza di caschi blu dell’ONU, fu “invitata” dal comando egiziano a lasciare il Sinai, entro pochi giorni, e a sgombrare tutti i punti di osservazione. Cosa che fu eseguita molto celermente.
Oltre a ciò, il 22 maggio 1967, l’Egitto bloccò e minò gli stretti di Tiran, in palese violazione del diritto internazionale che sanciva lo status internazionale degli stretti alla libera navigazione civile (Convenzione di Ginevra del 1958 sulla navigazione in acque internazionali).
E’ importante sottolineare che la navigazione negli stretti di Tiran era di vitale importanza per Israele: vi passavano tutti i commerci da e per l’Oriente che giungevano al porto di Eilat. Va, inoltre, ricordato che l’Egitto non permetteva il transito delle navi commerciali israeliane attraverso il canale di Suez, benché il diritto internazionale sancisse il libero accesso per le navi mercantili di tutti i paesi. Queste violazioni portarono, inevitabilmente, allo scontro armato tra Egitto e Israele. L’intervento armato di Giordania e Siria, nel conflitto, si ebbe il 5 giugno quando le rispettive forze armate iniziarono un pesante bombardamento delle città israeliane – compresa Gerusalemme che subì un bombardamento di oltre 6.000 colpi di artiglieria pesante in meno di 48 ore – e di ampie zone della Galilea. Gli attacchi furono coordinati con lo stato maggiore egiziano per alleggerire il proprio fronte (l’alto comando giordano era presieduto da ufficiali egiziani).
La guerra che Israele si apprestava a combattere e vincere fu, chiaramente, una guerra difensiva. Cosa che fu riconosciuta dalla comunità internazionale con la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, come vedremo in dettaglio nelle pagine seguenti.
I combattimenti si conclusero il 10 giugno 1967 con una schiacciante vittoria israeliana. La vittoria militare permise a Israele di conquistare tutto il Sinai, Giudea e Samaria (West Bank) e le alture del Golan (vedi mappa 1).
La Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La Guerra dei Sei giorni, come abbiamo visto, terminò il 10 giugno 1967, la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, che ne sancì la conclusione diplomatica, in sede ONU, fu approvata il 22 novembre, dopo oltre 5 mesi di intensi dibattimenti al Consiglio di Sicurezza. Come mai passò così tanto tempo? Perché in sede ONU fu combattuta una vera e propria “battaglia” diplomatica che per certi versi andò oltre alla vicenda stessa ma toccò la divisione in due blocchi diplomatici, USA-URSS, tipica del tempo. Qui si illustreranno, solamente, le vicende strettamente legate al conflitto arabo-israeliano.
La prima considerazione che va fatta, è che la Risoluzione 242, fu approvata secondo i criteri del Capitolo VI (dispute territoriali) della Carta dell’ONU e non in base al Capitolo VII (guerra d’aggressione). In termini legali, questo significa che la vittoria israeliana sul terreno fu una vittoria in una guerra difensiva e non di aggressione, come invece l’Unione Sovietica, per assecondare gli alleati arabi, tentò di far passare nella propria bozza di risoluzione. Perciò tutti i territori conquistati da Israele nel giugno del 1967 erano territori legalmente conquistati. Su questo argomento entreremo in merito in modo approfondito con un articolo ad hoc.
Una importante osservazione da fare è quella relativa alla formulazione della risoluzione che fu approvata definitivamente il 22 novembre. La bozza, che divenne la Risoluzione 242, fu redatta in inglese ed era una delle 5 presentate, dai membri del Consiglio di Sicurezza, in diverse lingue.
Il dibattimento e la successiva approvazione, in seno al Consiglio di Sicurezza, avvenne, solo ed esclusivamente, su questo testo in inglese presentato dal delegato della Gran Bretagna Lord Carandon. E’ da rimarcare questo aspetto perché poco dopo la pubblicazione della risoluzione, avvenuta in inglese e francese, come era consuetudine del tempo, nella versione in francese della Risoluzione comparve, in merito alla richiesta di ritiro delle truppe israeliane dai territori conquistati, la dicitura ambigua di ritiro “dai territori” anziché “da territori” come nella versione in inglese. Questo fu un tentativo goffo, a posteriori, della diplomazia araba di cercare di confondere le acque e far passare la guerra come una aggressione israeliana anziché come una guerra difensiva. La perfetta aderenza del testo francese a quello in inglese fu confermata dallo stesso ambasciatore francese all’ONU, Bernard, nel dibattimento che portò alla definitiva approvazione della risoluzione (il verbale è consultabile sul sito dell’ONU. Rif. S/PV.1382 (OR) 22 novembre 1967). Purtroppo ancora oggi, in certi ambienti, questo mito è ancora in voga. Vediamo ora perché questa tesi non ha fondamento.
Per prima cosa, come si accennava in precedenza, la bozza discussa fin dall’inizio in seno al Consiglio di Sicurezza fu quella in inglese e tutto il dibattimento tra i membri del Consiglio avvenne in inglese. Tutte le altre bozze furono rigettate, ad iniziare da quella presentata dall’URSS e da quella presentata dal blocco dei paesi non allineati (in francese). Queste bozze recavano la richiesta del ritiro dell’esercito israeliano “da tutti i territori” in modo inequivocabile, facendo così intendere che l’azione israeliana fosse stata un atto di aggressione. L’URSS non riuscendo a far passare la propria azione diplomatica in sede del Consiglio di Sicurezza, tentò la carta dell’Assemblea Generale dell’ONU. Il 19 giugno 1967, ad appena 9 giorni dalla conclusione delle ostilità, l’ambasciatore russo all’ONU convocò una Sessione Speciale d’Emergenza dell’Assemblea Generale in base alla Risoluzione “Uniting for Peace” del 3 novembre 1950, voluta e fatta approvare dall’allora Segretario di Stato USA Achenson. In base a questa Risoluzione si dava potere all’Assemblea Generale, convocata in Sessione Speciale d’Emergenza, di prendere decisioni vincolanti – che per Statuto dell’ONU sono di competenza esclusiva solo del Consiglio di Sicurezza – in caso di “minacce alla pace” o di “aggressione” da parte di uno stato, per poter aggirare il veto di una delle 5 Potenze con tale diritto (USA; URSS, Gran Bretagna, Francia e Cina). Dopo due mesi di dibattimento la tesi sovietica fu bocciata e l’Assemblea Generale votò contro tale interpretazione. Israele era l’aggredito e non l’aggressore, in modo inequivocabile. La discussione passò di nuovo in sede di Consiglio di Sicurezza e la risoluzione proposta dall’ambasciatore inglese passò all’unanimità. Per fugare eventuali dubbi interpretativi sulla richiesta di ritiro dai territori conquistati, si ricorda che la Risoluzione 338 del 1973, che concluse la Guerra dello Yom Kippur, riprende integralmente le disposizioni della 242. Se ci fossero state incertezze in merito, la Risoluzione 338 le avrebbe palesate e non avrebbe confermato la Risoluzione 242 in toto, a sei anni di distanza.
Analizziamo ora in modo più dettagliato il contenuto della Risoluzione 242. Come già accennato, la risoluzione è formulata in base al capitolo VI della Carta dell’ONU. Quindi in riferimento al principio della disputa territoriale e non di aggressione per conquista.
Nel preambolo della risoluzione, si evidenzia la non ammissibilità dell’acquisizione territoriale con un atto di guerra, come previsto dalla norma dei principi dell’ONU (art. 2 dello Statuto ONU). Il fatto che questo principio sia inserito nel preambolo e non nella parte operativa della risoluzione, significa che la conquista territoriale, avvenuta per mezzo della guerra, non sancisce la titolarità del “conquistatore o dell’occupante”, ma ne riconosce la legalità dal punto di vista del diritto internazionale. Cioè conquistare o occupare un territorio in una guerra difensiva non ne sancisce, automaticamente, la sovranità – che deve essere convalidata con un trattato internazionale o di pace – ma ne ammette la legalità.
Di esempi di questo tipo se ne possono fare moltissimi, qui basta ricordare l’occupazione del Giappone o della Germania alla fine della Seconda guerra mondiale. Chi mai ha eccepito che si trattasse di occupazioni legali? E che dire del caso, davvero poco noto, dell’occupazione di Berlino Ovest, che si protrasse fino al 1990 cioè fino all’unificazione tedesca?
La parte operativa – quella più importante e col maggior peso legale come in tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza – della Risoluzione 242, è divisa in due disposizioni. La prima afferma che il pieno compimento dei principi della Carta ONU deve passare:
a) dal ritiro delle forze armate israeliane «da territori» occupati nel recente conflitto,
b) dal rispetto dell’integrità territoriale di tutti gli Stati dell’area e dal loro diritto di vivere in pace e con confini «sicuri e riconosciuti».
La prima considerazione da fare, è che il punto cruciale della disposizione si trova nell’aggettivo “both”, (“entrambi” in inglese), cioè si devono applicare, contestualmente, entrambe le disposizioni, e non una sola delle due – il ritiro delle truppe israeliane – come vuole una certa interpretazione faziosa della risoluzione. Questo significa che Israele deve sì ritirarsi “da una parte dei territori” conquistati ma non obbligatoriamente da tutti, altrimenti sarebbe chiaramente esplicitato. Questo ritiro deve avvenire dopo il riconoscimento di Israele, da parte degli Stati aggressori: Egitto, Giordania e Siria, con futuri accordi di pace che sanciscano i confini – e non semplici linee di armistizio come quelle del 1949 e fin lì in vigore – internazionali e difendibili, che tengano conto della morfologia del territorio e della sicurezza di Israele.