Rimini-Isis. La città nota per essere una delle località balneare più famose d’Italia avrebbe legami con il terrorismo islamico di Daesh. Il sospetto ha spinto la Procura della Repubblica di Bologna a iscrivere nel registro degli indagati 9 persone, tutti appartenenti al settore alimentare: piccoli imprenditori e commercianti, perfettamente integrati nella società.
Cinque marocchini, due albanesi, un macedone e un tunisino, dai 27 ai 49 anni, tutti residenti in Emilia Romagna, a cui la Digos e Finanza sono arrivati grazie al flusso di soldi che partiva dal Cesenate e dal Riminese destinato ai paesi del Maghreb, al Belgio, alla Germania e alla Francia e non ultime, grazie alle intercettazioni che li collocavano su pozioni dell’integralismo islamico.
In un solo anno, nel 2014, uno dei nove personaggi indagati per l’articolo 270 bis (che punisce le associazioni con finalità di terrorismo e di sovversione dell’ordine pubblico) ha spedito all’estero una cifra vicina al milione di euro. A cosa servisse quel denaro è ancora al vaglio degli investigatori, che pochi giorni fa hanno perquisito le abitazioni degli indagati e hanno portato via: sim italiane ed estere, pc fissi e portatili, hard disk, pennette Usb, telefoni cellulari, contabilità e agende.
Secondo gli investigatori, che stanno analizzando il materiale per verificare se c’è qualche riferimento alla propaganda terroristica o al terrorismo, Rimini sarebbe diventato il centro di riferimento del terrorismo dell’Isis di tutta la regione.
Se i sospetti dovessero essere confermati, si aprirebbe un nuovo modo di indagare sul terrorismo islamico. Fino a ora, infatti, erano state le intercettazioni a guidare le indagini. Il controllo del flusso di denaro non è una pratica nuova in Italia, già sperimentata negli Anni 80 da Giovanni Falcone, di cui è celebre la frase: “Segui i soldi e troverai la mafia”.