Dopo un anno di potere incontrastato l’aura di invincibilità del Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi sta svanendo per via del malcontento diffuso fra la popolazione che lamenta le stesse diseguaglianze sociali che avevano innescato la sollevazione di massa del 2011. A dire il vero al-Sisi ha ancora il controllo del paese grazie al lavoro di repressione del dissenso portato avanti dalle forze di sicurezza e ai miliardi di dollari immessi nell’economia egiziana dagli alleati arabi del Golfo. Nelle strade del Cairo però è possibile percepire la frustrazione delle persone comuni: l’uomo infallibile ha ora intrapreso un atteggiamento meno spavaldo evidenziato dal suo riaggiustare il tiro su alcune questioni politiche.
In qualità di capo dell’esercito al-Sisi ha guidato il golpe che ha rovesciato il Presidente islamista Mohamed Morsi nel 2013. In quell’occasione il generale di ferro si guadagnò gli elogi dell’opinione pubblica desiderosa di vedere un periodo di stabilità dopo la caduta di Hosny Mubarak nel 2011. Il problema ora è che al-Sisi non ha rispettato la promessa di creare nuovi posti di lavoro per migliorare il tenore di vita degli egiziani.
Teoricamente al-Sisi avrebbe già raggiunto traguardi economici impensabili per i leader egiziani che lo hanno preceduto: grazie ad alcune riforme, ad esempio l’intervento di semplificazione sulla burocrazia e i tagli ai sussidi alimentari e sul carburante, è riuscito ad aumentare gli investimenti esteri nel paese. Riducendo questi benefit, che Mubarak non voleva toccare per paura di scatenare le ire della popolazione, e alzando le tasse al-Sisi è riuscito lo stesso a contenere le proteste. Ci sono però segnali di una crescente insoddisfazione nei confronti del Presidente. Alcuni analisti sostengono addirittura che il programma economico governativo non potrà mai riuscire a livellare le diseguaglianze sociali in un paese che conta più di novanta milioni di abitanti, molti dei quali vivono in condizioni di povertà estreme.
I prezzi alimentari e la disoccupazione sono alle stelle, la sanità pubblica è terribile e il turismo è in costante calo. Gli egiziani, che solo un anno fa avrebbero sacrificato tutto per veder realizzato il mega progetto di al-Sisi, un secondo gigantesco Canale di Suez, ora cominciano a chiedersi se vedranno mai qualche beneficio per loro stessi.
Nonostante questo le proiezioni sono positive: l’economia crescerà del 5% nel 2015/2016, la disoccupazione scenderà al 12,8% nello stesso periodo e le agenzie di rating si sono espresse positivamente sull’Egitto. Alcune imprese straniere hanno già deciso di investire nel paese, tra queste BP e Siemens che da sole porteranno circa ventuno miliardi di dollari nelle casse del governo egiziano. Il problema principale resta l’inflazione che a Maggio ha raggiunto i tredici punti percentuali.
Un altro problema significativo è legato alla bassa retribuzione della maggior parte dei posti di lavoro in Egitto, dovuta soprattutto al fatto che i lavoratori sono poco qualificati e hanno una bassa produttività. I tagli ai sussidi sul carburante hanno comportato un aumento del prezzo dello stesso di circa il 78%.
Per mitigare la situazione al-Sisi ha scarcerato lo scorso mese centosessantacinque persone che avevano violato la legge sul divieto di manifestare a favore dei Fratelli Musulmani, una norma ampiamente criticata dai gruppi per i Diritti Umani e dalla stampa occidentale. Un piccolo passo che però fino a qualche mese fa sembrava impossibile.
Infine il problema terrorismo: i jihadisti legati allo Stato Islamico hanno guadagnato sempre più posizioni nella Penisola del Sinai compiendo numerosi attentati contro l’esercito egiziano. Nel tentativo di trovare una sponda al-Sisi ha riaperto a Hamas rimuovendola dalla black list delle organizzazioni terroristiche.
Si prospettano tempi duri per il Presidente egiziano. Una cosa però è certa, se le cose dovessero farsi difficili l’ex generale non esiterà ad usare di nuovo il pugno duro contro i suoi nemici.