Roma, 17 aprile 1944. La città è occupata dai nazisti dall’8 settembre dell’anno precedente, giorno in cui venne ufficializzato l’armistizio con gli Alleati.
Poche settimana prima, la macchina di morte tedesca aveva mostrato tutta la sua barbarie nell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Mancano poche settimane a quel fatidico 4 giugno, che passerà alla storia come il giorno in cui Roma venne liberata dagli americani.
In quei mesi di occupazione, la popolazione è costretta vivere sotto al giogo nazista, che non perde tempo nel dare un segno della propria malvagità con il rastrellamento del Ghetto ebraico.
È il 16 ottobre 1943 e i romani capiscono subito che si prospettano tempi molti difficili. La speranza per la fine dell’occupazione si tramuta per alcuni in una resistenza attiva.
Non si vogliono accettare le dure condizioni imposte dagli occupanti nazisti. E a Roma c’è una zona che più di tutte è un ostacolo per gli oppressori: il Quadraro, nel quadrante sud-est della città.
È considerato un “nido di vespe” dai tedeschi perché gli abitanti sono talmente antifascisti che si dice: per sfuggire ai nazisti “o vai al Vaticano o al Quadraro”.
Tanto che il 31 marzo, al fine di indebolire tutte le frange della resistenza, il comando tedesco anticipa l’ora del coprifuoco alle ore 16,00 per gli abitanti dei quartieri Quadraro, Torpignattara, Centocelle e Quarticciolo.
L’ennesima restrizione non ferma la volontà dei residenti di resistere all’occupante nazista e il 10 aprile in una trattoria di Cinecittà (la trattoria di Gigetto in via Calpurnio Fiamma), Giuseppe Albano, detto il “gobbo del Quarticciolo” assale con la sua banda alcuni soldati tedeschi, uccidendone tre.
L’episodio scatena ancora una volta l’ira del comando tedesco a Roma e, visto quello che succederà solo una settimana dopo, viene considerato la molla che fa scattare l’“Operazione Balena” (Unternehmen Walfisch).
È il 17 aprile 1944 e alle quattro del mattino le truppe tedesche circondarono il Quadraro, bloccando ogni via di accesso e di uscita. Poco dopo i soldati tedeschi guidati da Kappler, coadiuvati dalla Gestapo, dalle SS e dalla Banda Koch, cominciano le perquisizioni, passando al setaccio il quartiere casa per casa.
Sono arrestati ingiustamente circa 2000 uomini, compresa tra i 19 e i 50 anni. Il futuro riserverà loro lavori forzati nei campi di concentramento. Il presente che gli si prospetta è la schedatura al vicino cinema Quadraro e, dopo ore di attesa e di condizioni disumane, sono caricati su dei camion e portati a Cinecittà, per la selezione. In pochissimi riescono a fuggire.
Roma, 17 aprile 1944, è il giorno che la storia ricorderà come il rastrellamento del Quadraro. Poche ore dopo da quella ignobile azione, i tedeschi diramano il seguente comunicato:
“Avvertimento alla cittadinanza romana. La dura risposta germanica che, pur troppo, ha dovuto far seguito al delitto consumato in via Rasella, ha trovato evidentemente in alcuni ambienti poca comprensione. Nel lunedì di Pasqua, nuovamente, parecchi soldati germanici sono caduti alla periferia di Roma, vittime di assassini politici. Gli attentatori riuscivano a rifugiarsi, senza essere riconosciuti, nei loro nascondigli in un certo quartiere di Roma dove loro trovavano protezione verso i loro compagni comunisti. Il Comando superiore germanico è stato perciò costretto ad arrestare nel detto quartiere tutti i comunisti… La popolazione di Roma comprenderà queste misure. Essa potrà evitarle in avvenire partecipando attivamente alla lotta contro la delinquenza politica e informando il Comando superiore germanico… Chi si sottrae a questo obbligo si rende complice…”
Nei giorni seguenti, chi ha superato la selezione è trasportato con dei camion a Grottarossa per arrivare a Fossoli, con Terni come tappa intermedia. Il campo di transito sembra la fine della deportazione. E invece no.
Perché il 24 giugno i nazisti prendono la decisione che i rastrellati devono diventare “operai italiani volontari per la Germania”, che tradotto significa a lavorare nei campi di concentramento.
Ma c’è di più, perché quando la malvagità e la perfidia si combinano rendono la disumanità inamovibile. Ai prigionieri, infatti, che in seguito furono chiamati “gli schiavi di Hitler”, viene fatto firmare con la forza un impegno scritto in lingua tedesca per diventare “lavoratori volontari”.
Solo la metà di loro farà ritorno a casa. Solo metà di loro potrà raccontare le atrocità subite. Ma tutti dobbiamo ricordare l’ennesimo episodio in cui il nazismo si è dimostrato una macchina di morte nei confronti di cittadini inermi.