Da una parte c’è Israele che ospita il Gay Pride più grande del Medioriente, dall’altra ci sono i palestinesi che da sempre sono ostili alla comunità LGBTQ+ (gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer).
Alcuni gruppi LGBTQ+ dell’Occidente, però, si dichiarano in favore delle campagne “Free Palestine” in chiave anti-israeliana: i nemici da cacciare in realtà sarebbero le leadership palestinesi, che opprimono il loro stesso popolo.
Dall’Autorità Palestinese al gruppo terroristico di Hamas, i capi palestinesi hanno sempre sostenuto leggi contro l’omosessualità, ritenendola un reato da punire con il carcere e a volte anche con la morte (a Gaza).
AP e Hamas hanno però trovato un punto in comune nell’annullamento del concerto del cantautore Bashar Murad a Ramallah, nella West Bank, dove un gruppo legato ad Hamas, facente capo a Yaman Jarrar, figlio di un comandante e predicatore di Hamas, ha imposto agli organizzatori di non dare vita all’evento dedicato alla comunità LGBTQ+.
Un suo video è diventato virale:
“Bashar Murad è gay. A questa persona è vietato tenere un concerto. Non ci rappresenta, non mettere alla prova la nostra pazienza”.
Facciamo attenzione.
Ramallah è ritenuta la città più avanzata dalla West Bank, controllata dall’Autorità Palestinese. A questo si aggiunge che a far annullare il concerto è stato un gruppo di Hamas, che gestisce la Striscia di Gaza.
Quindi, la domanda è: come è possibile che Hamas possa agire in maniera indisturbata in una parte di terra controllata dall’Autorità Palestinese?
L’AP era d’accordo e ha preferito lasciar agire Hamas o oppure il gruppo terroristico di Gaza può entrare a Ramallah a suo piacimento?
Ma c’è di più, perché i palestinesi perseguitati della comunità LGBT in fuga dalla West Bank e da Gaza hanno trovato rifugio in Israele, che li ha accolti con un permesso di soggiorno temporaneo in attesa che un paese possa farlo in via definitiva.