Ed ecco che oggi i palestinesi (e anche gli attivisti occidentali) fanno sfilare le chiavi delle abitazioni di 70 anni fa, quando nacque lo Stato di Israele, gli arabi palestinesi non accettarono la spartizione proposta dall’Onu e i Paesi arabi circostanti promisero che una volta rigettati a mare gli ebrei palestinesi, tutti sarebbero tornati a casa propria, in un territorio privo di giudei. Oggi i palestinesi festeggiano la #Nakba.
Con queste chiavi in mano, troppo spesso si giustifica il terrorismo palestinese, chiamandolo “resistenza”, ma ci si dimentica che quasi 900.000 (novecentomila) ebrei sono stati cacciati dalle proprie case in quasi tutti gli Stati arabi/islamici e anche molti di loro hanno ancora le chiavi in tasca.
Cimeli che non vengono esibiti, ma restano in un cassetto come ricordo di un tempo ormai andato; uomini e donne che sono emigrati in Europa, negli Stati Uniti o in Israele, rimboccandosi le maniche e rifacendosi una vita. Uomini e donne che, stando alle teorie di molti palestinesi, avrebbero dovuto andare in giro per mezzo mondo a farsi saltare in aria o ad accoltellare innocenti, e che invece non hanno fatto altro che guardare avanti e costruire. Oggi, quei profughi ebrei, sono uomini e donne integrati nelle società che li hanno accolti, spesso persone di successo, che conoscono la fatica ed hanno fatto del proprio sudore qualcosa da cui ripartire.
Ecco, questa è una chiave che potrebbe appartenere ad un ebreo libico, ad un ebreo libanese, ad un ebreo persiano, ad un ebreo egiziano, ad un ebreo marocchino, algerino o tunisino. Questa è una chiave che non è stata utilizzata per giustificare crimini, ma per ricordarsi che l’unico modo per rialzarsi è lavorare sodo, senza odio nel cuore.