Dal sionismo nacque lo Stato di Israele; e fu un lieto evento per le democrazie. Oggi, invece, sembra non essere più così: c’è un anti-sionismo collettivo che in Occidente abita e cresce e che, non senza ipocrisia, allo Stato di Israele quasi non perdona di esserci.
Ai tempi del processo Dreyfus, quando Theodor Herzl ne seguiva le udienze per un quotidiano di Vienna, si percepì come anche a Parigi, nella patria dei droits de l’homme, la cosiddetta “assimilazione” non risolvesse la questione ebraica. Fu un antisemitismo “moderno”, scaturito dal seno della rivoluzione francese, che indusse Herzl a rivendicare anche per gli ebrei il “sacro” diritto allo Stato nazionale.
Quell’antisemitismo “moderno” è tornato a farsi vivo in Europa. In Italia instancabile nel dargli voce il volenteroso Massimo D’Alema. La colpa di Israele sarebbe per lui quella di non essere assimilabile né all’Arabia Saudita, né all’Iran: insomma, di essere troppo democratico rispetto al contesto mediorientale.
Ha fatto bene, anzi benissimo, l’ambasciatore di Israele Naor Gilon in Italia a rispondergli con efficacia: è irresponsabile consentire il nucleare ad un regime come quello dei turbanti atomici.
Purtroppo, è avvenuto qualcosa di peggio: si è negoziato diritto al nucleare con un paese che continuamente rivendica il proprio diritto all’antisemitismo. Obama e la Mogherini se ne compiacciono, forti della loro insostenibile stoltezza, tronfi di antisionismo, dimentichi del j’accuse di Zola al tempo del processo Dreyfus.