Purim cade quasi ogni anno subito dopo la lettura della parashà di Tetzavvè che viene letta quindi assieme alla parashà di Zakhòr (Ricorda cosa ti ha fatto Amalek), che precede sempre Purim.
Che relazione c’è tra Tetzavè, Zakhòr e Purim?
L’argomento principale di Tetzavè è la descrizione degli abiti che i sacerdoti indossavano durante le cerimonie. Tutti sanno che “l’abito non fa il monaco”: che importanza può avere usare un abito speciale per dare maggiore dignità alla funzione che una persona ricopre?
Di Purim si usa mascherarsi: si indossano altri abiti per cambiare personalità, per sembrare diversi da chi si è veramente.
La parashà di Zakhòr ci ricorda che bisogna guardarsi da Amalek: ma come difendersi da Amalek, se si presenta con “abiti” diversi dai suoi.
Vediamo come la Torà descrive l’introduzione dell’abito nella vita dell’uomo.
Dio crea l’uomo nudo e dopo che Adamo ed Eva disobbediscono, mangiando dell’albero della conoscenza, dona loro dei vestiti e li caccia dal giardino dell’Eden: “Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelle (‘OR) e li vestì” (Genesi 3: 21). E’ Dio stesso che confeziona il primo vestito per la prima coppia: Dio eleva così l’uomo dal suo status di “animale” tra gli altri animali a essere capace di dare un significato morale superiore in tutti gli aspetti del suo comportamento. L’abito confezionato da Dio non è solo un fatto convenzionale, ma rappresenta quindi molto di più, è un’aggiunta alla creazione, una seconda pelle creata e donata da Dio all’uomo, per conferirgli una corporeità superiore.
Questo vale per Adamo che, con i vestiti confezionatigli da Dio, viene elevato e, mediante Tikkun (restauro), diventa un certo senso sacerdote dell’umanità. Ma che senso hanno i vestiti che Mosè fa cucire per i sacerdoti del popolo d’Israele?
L’uomo tende a mascherarsi e a non apparire per quello che è veramente: se questo è consentito una volta all’anno – sfogandosi a Purim – per il resto dell’anno è proibito: bisogna avere un habitus esterno che corrisponda veramente a quello interno. In ebraico luce OR, con la alef, e pelle ‘OR, con la ‘ain, hanno quasi lo stesso suono: ognuno ha un habitus interno, una luce interiore che lo illumina, e un habitus esterno, un comportamento che illumina la persona stessa e l’ambiente che lo circonda. Ognuno ha un suo proprio abito e i sacerdoti sono tali solo se indossano i loro veri abiti: non è un caso che in ebraico il termine beghed, vestito, deriva dalla radice bagad, tradire; così come me’il, manto, deriva dalla radice ma’al, usare illecitamente beni sacri. La persona è un bene sacro e solo se i vestiti che porta sono veramente sacerdotali, egli porta su di sé il sacerdozio.
Amalek non si presenta sempre con i suoi veri abiti, cioè con l’intenzione di distruggere Israele: usa travestirsi per ingannarci. Spesso è stato l’atteggiamento “accogliente” a farci pensare che i propositi di Amalek fossero cambiati. Dietro maschere diverse si possono spesso celare delle trappole dalle quali è difficile poi liberarsi.
Purim ci ricorda quindi che bisogna essere vigili e guardare cosa si cela dietro le maschere di coloro che si avvicinano a noi con intenti non sempre puri. Per quanto riguarda noi, possiamo continuare a mascherarci per Purim, semel in anno ….
Poi dobbiamo tornare a vestirci degli abiti che sono veramente nostri e la gioia proromperà e si diffonderà ovunque.
Hag Purim Sameach