Purim: una festa sempre attuale che ricorda l’eterna lotta del popolo ebraico contro l’antisemitismo

Ugo Volli
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Ebraismo

Purim: una festa sempre attuale che ricorda l’eterna lotta del popolo ebraico contro l’antisemitismo

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Ugo Volli
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Esther, Ahasuerus, and Haman (Jan Steen,1668)

Purim: una festa sempre attuale che ricorda l’eterna lotta del popolo ebraico contro l’antisemitismo. Le feste ebraiche molto spesso hanno un doppio significato, storico/politico ed etico/religioso; e inoltre hanno della caratteristiche espressive e pedagogiche, che le rendono facili da comunicare e da ricordare. Ma non bisogna confondere questa dimensione comunicativa della festa con il suo significato o i suoi significati.

A Shavuot per esempio è d’uso mangiare cibi a base di latte e di formaggio; la spiegazione che se ne dà è spesso simbolica:

“Il latte è sangue raffinato; infatti in un processo complesso e meraviglioso le ghiandole mammarie trasformano il sangue in puro latte bianco. C’è qualcosa di particolarmente soprannaturale in questo processo: prendere un liquido acre e spiacevole quanto il sangue e trasformarlo in cibo nutriente e commestibile è incredibilmente miracoloso. Anche noi possiamo simulare questo miracolo nelle nostre vite. Il sangue rappresenta la passione cruda e l’istinto indomito. Mentre il latte è simbolo di un carattere puro e raffinato. Fare latte dal sangue, ovvero raffinare i nostri istinti più bassi, è lo scopo della nostra vita”.

E però la festa celebra il dono della Torah, riassorbendo un’antica festa agricola.

Così a Pesach con le matzot e il rituale del Seder; ma il senso della festa è la conquista della libertà collettiva del popolo ebraico e la riaffermazione del potere divino sull’oppressione umana; Chanukkà colpisce per i lumi esposti in pubblico per ricordare i miracoli, ma essi poi in sostanza sono la vittoria della resistenza ebraica sul dominio ellenistico e la sopravvivenza della cultura tradizionale di Israele in mezzo a un mondo assai più forte, insieme seducente e ostile.

Così è soprattutto per Purim, la festa che inizia questo giovedì sera. C’è chi ritiene che il cuore della festa sia il mascheramento, il fracasso, il teatro e l’abbondante uso del vino – “come fosse Carnevale”. Ma queste sono semplicemente le forme che la festa ha assunto nel corso del tempo per ragioni pedagogiche. In realtà si tratta della ricorrenza più politica del calendario liturgico ebraico. Basta leggere con attenzione la Meghillà per vederlo. Segnalo a questo proposito il bellissimo libro di  Yoram Hazony, oggi forse il più importante filosofo ebraico: God and Politics in Esther, purtroppo disponibile solo in ebraico e in inglese. In sostanza la storia è quella di un complotto antisemita, del progetto di eliminare tutti gli ebrei dell’impero persiano, cioè tutti gli ebrei del mondo, dato che gli insediamenti ebraici di quel tempo (Israele, Egitto, Mesoptamia, Persia vera e propria) erano compresi nel territorio dell’impero. Il complotto viene sconfitto da una contro-congiura di palazzo, in cui ha parte essenziale Esther, una fanciulla ebrea che diventa avventurosamente regina senza rivelare la sua identità nazionale. Al culmine della storia i due complotti si scontrano in un confronto teatrale davanti al sovrano, in cui ha la meglio Esther; ma dopo avviene uno scontro armato, in cui ancora prevalgono gli ebrei e gli antisemiti vengono liquidati. 

Il senso religioso della festa ha a che fare col suo andamento apparentemente casuale (la parola Purim viene tradotta come “le sorti”, ma non compare altrove nelle Scritture ed è probabilmente un prestito dal persiano). L’assenza del nome divino dalla versione ebraica del testo e l’aspetto profano della narrazione alludono all’azione nascosta della provvidenza. In ambienti segnati dalle persecuzioni, come gli ebrei della penisola iberica nel Cinquecento, Esther rappresenta la difficile resistenza di chi deve nascondere la propria appartenenza.

Il piano politico o nazionale della festa è più chiaro. Si tratta dell’antisemitismo e della battaglia per sconfiggerlo, che si ripete continuamente nella storia, sempre con grandi difficoltà e sofferenze. Non a caso il cattivo della storia, il vicerè Haman, è presentato come un discendente del primo nemico del popolo ebraico nell’Esodo, Amalek. Per questo la considerazione del Talmud che la festa di Purim sarà celebrata anche quando tutte le altre feste saranno state abolite (in epoca messianica), non è affatto consolante, perché sembra alludere alla previsione della perennità dell’antisemitismo, come del resto si ritrova in un passaggio chiave della Haggadà di Pesach, dove si dice che tutte le generazioni future dovranno fare i conti con l’odio di chi vuole distruggere Israele.

La lezione positiva della festa di Purim è che è possibile sconfiggere l’antisemitismo, anzi che bisogna farlo, combattendo sul piano politico-diplomatico ma anche su quello della prova di forza. Non è un caso che un grande antisemita come Martin Lutero abbia dichiarato di odiare il Libro di Esther e di preferire che fosse escluso dal canone biblico. E neanche che Julius Streicher. il direttore di “Der Sturmer” e il maggiore specialista, per così dire, di antisemitismo del regime nazista, proprio prima di essere impiccato a Norimberga per i suoi crimini, abbia accostato la sua sorte a quella di Haman, esclamando  come ultima parola “Purimfest!”

Come si vede non vi è nulla di infantile, nulla di “carnevalesco”, di puramente “teatrale”  in questa ricorrenza che pure è celebrativa e gioiosa. Si tratta solo di uno strato superficiale, che serve a coinvolgere i bambini e magari a confondere i nemici. Sentendo recitare la storia della persecuzione fallita, com’è precetto della festa, siamo invece invitati a pensare alle vie nascoste della provvidenza ma anche alla necessità di resistere all’oppressione, ai costi richiesti dalla sopravvivenza di un piccolo popolo “separato”; facendo i doni alimentari (e non) che sono un altro obbligo della festa, siamo richiamati al legame di solidarietà e di appoggio reciproco che sono alla base dell’esistenza collettiva del popolo. Va benissimo festeggiare, mascherarsi e cantare; ma bisogna anche sapere che questa gioia deriva dalla celebrazione di una vittoria difficile e imprevista contro un progetto di “soluzione finale”.

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