Harry Haft, il pugile che combatté ad Auschwitz

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Storia

Harry Haft, il pugile che combatté ad Auschwitz

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Costringere a combattere un pugile ad Auschwitz era uno dei tanti modi in cui i nazisti umiliavano i prigionieri. Un divertimento per le SS che scommettevano su uomini pronti ad uccidere pur di sopravvivere. Ring improvvisati e  nulla che avesse a che fare con lo sport.

Di vicende come queste ce ne sono tante, ma ognuna contribuisce a dare la misura della spietatezza del regime nazista e del sadismo dei suo militanti, come la storia di Leone Efrati.

Dolore e tristezza, voglia di sopravvivere per riabbracciare l’amata Leah. È la storia personale di Harry Haft che si inserisce nella macro storia della Shoah.

Harry Haft era un ebreo polacco di Belchatow, nato nel 1925 che venne deportato ad Auschwitz dopo che la Germania invase la sua terra. Si sacrificò per salvare il fratello che riuscì a scappare all’orrore dei campi di sterminio.

Il cuore e la mente erano rivolte a ritrovare Leah, il corpo mercificato nei campi di sterminio per combattere un nemico che per lui non era tale. Ma per sopravvivere bisogna fare di tutto. Come Haft, che una volta raccontò:

“Fummo svegliati nel cuore della notte e ammassati in vagoni bestiame. Mi sembrò che il viaggio durasse una settimana. Senza niente da mangiare e da bere, in uno spazio minimo pervaso dal tanfo delle nostre feci. Alla fine si sentirono solo i moribondi esalare il loro ultimo respiro sotto i nostri piedi. Dio non esisteva più”.

Una scena terribile che sarà un presagio. Un uomo che diventerà un  numero, il 144738.

Harry Haft riuscì a scappare in una rocambolesca fuga in cui rubò l’uniforme a un nazista che aveva ucciso. Lo salvarono gli americani. E proprio in America costruì una nuova vita. Continuò a boxare, voleva diventare famoso per essere contattato da Leah, che non sapeva dove cercare. E quando la trovò, lui era sposato e lei malata terminale.

La delusione sportiva arrivò il 18 luglio 1949, quando perse contro il grande Rocky Marciano. La leggenda narra che prima della sfida all’Auditorium di Rhode Island, tre mafiosi si presentarono negli spogliatoi e dissero al suo manager: “Sarebbe meglio per lui se si buttasse a terra al primo round”.

Finì per ko, ma non ebbero mai le prove che l’incontro fosse truccato. 

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