La ricorrenza della fondazione dello Stato d’Israele viene ricordata dai palestinesi come Nakba, catastrofe. Nessuno può negare l’esistenza del problema dei rifugiati palestinesi, si tratta di un dato storico accertato di cui gli israeliani si sono sempre resi conto. Tuttavia sembra che in molti tendano a dimenticare che la creazione di Israele ha avuto come risultato anche l’esilio di centinaia di migliaia di ebrei che vivevano pacificamente nei vicini paesi arabi. Dopo la sconfitta nella guerra del 1948 infatti gli Stati arabi si sono presi la loro rivincita su quegli ebrei che erano stati leali cittadini per molti secoli.
Mentre il problema dei profughi palestinesi viene continuamente discusso in Occidente quello dei rifugiati ebrei è sempre stato volutamente accantonato dai progressisti e dagli accademici dei paesi più sviluppati. L’immigrazione ebraica dai paesi arabi ha avuto varie motivazioni: la prima e più ovvia è indubbiamente la volontà di realizzare il sogno sionista, altri invece non avevano la minima intenzione di andarsene e furono costretti a partire a causa delle persecuzioni da parte della maggioranza musulmana. E’ il caso ad esempio degli ebrei libanesi, una comunità viva e prolifica dal punto di vista culturale che è però scomparsa all’inizio degli anni ’90.
Lo status di rifugiato, così come è formulato nella Convenzione di Ginevra del 1951, identifica coloro che “sono emigrati per fondati timori di persecuzioni razziali, religiose e nazionali.” Nella Beirut degli anni ’80 il governo libanese si dimostrò incapace di salvaguardare la vita dei propri cittadini ebrei che vennero rapiti e assassinati a dozzine. La crescente influenza dell’organizzazione terroristica sciita Hezbollah e l’emergere di altre milizie islamiche trasformò il Libano in un posto pericoloso dove vivere, non solo per chi professava la religione ebraica ma anche per i cittadini stranieri provenienti dall’Occidente. Perché allora questo status non viene riconosciuto ai profughi ebrei come viene fatto con i palestinesi?
Dal 1948 in poi circa novecentomila ebrei sono fuggiti dai paesi arabi, le loro proprietà (dal valore stimato di trenta miliardi di dollari) vennero confiscate dai governi. La maggior parte degli spostamenti si è verificata in concomitanza con la guerra del 1967 in cui Egitto, Siria e Giordania attaccarono Israele contemporaneamente. Gli unici ad aver riconosciuto questa discrepanza ad oggi sono il Congresso degli Stati Uniti, che nel 2008 ha richiesto che una somma equivalente a quella stanziata per i profughi palestinesi venga fornita agli ebrei nati negli Stati arabi, e il Parlamento canadese. Il governo israeliano invece ha istituito qualche anno fa per il 30 Novembre la “Giornata del rifugiato ebreo”, un’iniziativa a cui nessuna organizzazione internazionale ha mai dato risalto.
Questo dramma non deve essere dimenticato. In molti evitano di raccontare le vessazioni subite nel loro passato e preferiscono parlare della splendida vita che conducono ora in Israele. Arrivati umiliati e diseredati, la maggior parte di loro si è integrata nella società israeliana e oggi fornisce un grandissimo contributo allo Stato e alle sue istituzioni. La politica internazionale deve necessariamente capire che se c’è bisogno di una soluzione al problema dei rifugiati palestinesi deve essercene una anche per quelli ebrei . Il mondo Occidentale deve riconoscere che la tragedia, la Nakba, ha due facce e solo attraverso la soluzione di entrambe i due popoli potranno riappacificarsi.