L’ultimo è stato l’algerino Fatì nel Centro Identificazione ed Espulsione per immigrati: “Qui siamo come gli ebrei nei campi nazisti”. Perché – spiega – “non ci cambiano nemmeno le lenzuola!”.
Lui è in sciopero della fame da 13 giorni ed ha perso 13 chili.
Poi arrivano i palestinesi, a dirci che Gaza è come Auschwitz. Gaza, con le sue scuole, i suoi ospedali, i suoi parco giochi e il suo zoo. Gaza, con il mercato delle spezie e dei dolcetti; la città in cui gli iPhone 5 sono stati acquistati in pochi giorni e subito finiti.
E la lista di chi indegnamente si paragona ad un internato nei campi di sterminio è troppo lunga per tacere ancora. Basta.
Chi ha mai visitato un campo di sterminio lo sa, chi non ne ha avuto la possibilità può guardarsi un qualsiasi documentario dell’epoca per costatare che tirare in ballo i campi della Shoah per opportunismo è vergognoso e irrispettoso per quanti in quell’inferno ci sono passati davvero.
Non dare adito a questi paragoni, lo dobbiamo a quanti erano ridotti a scheletro non da uno sciopero volontario, ma dalla crudeltà delle SS che costringevano i deportati a infinite ore di lavoro sotto la neve, malnutriti e con in dosso un pigiama e degli zoccoli sempre troppo grandi o troppo piccoli. Lo dobbiamo a chi subì esperimenti impronunciabili e a chi vide i propri cari sotto la cattiveria delle torture. A chi vide fare il tiro a piattello con i bambini, a chi dovette osservare i neonati morire per averli privati del latte materno. A chi dovette staccare i denti al proprio papà dopo averlo tirato fuori da una camera a gas.
Non continuerò. Ma basta con questi ignobili paragoni, perché la sofferenza esiste e molto spesso dobbiamo agire contro condizioni disumane in cui vivono gli immigrati o le popolazioni in stato di guerra, ma Auschwitz, Birkenau, Mauthausen, Treblinka, sono state un’altra cosa. Sono state l’inferno.