Omicidio Sarah Halimi: una sentenza intollerabile e per nulla casuale. Ci sono due forme o piuttosto stadi dell’antisemitismo, strettamente legate fra loro. La prima consiste in parole o opinioni: dire che gli ebrei hanno ucciso Gesù e magari anche Maometto e per questo meritano una condanna eterna, come spesso hanno sostenuto autorevoli teologi cristiani e musulmani, che sono nemici dell’umanità (Tacito), che sono quinte colonne interne allo stato (Il Faraone del libro dell’Esodo), che rispettano solo le loro leggi e non quelle dello stato (il gran visir persiano Haman, nel libro di Ester), che la loro religione è il denaro (Karl Marx), che sono dei relitti insensati di un popolo che dovrebbe essere scomparso da tempo (Voltaire e Kant), che il solo modo di integrarli è tagliare loro la testa, che dominano il mondo (i “Protocolli”), che sono una razza aliena (Hitler), che ammazzano i bambini (i gesuiti e oggi i palestinisti), che avvelenano i pozzi, impoveriscono le nazioni, opprimono gli altri popoli e bestemmiano le loro religioni, che non sono cittadini leali, che rubano le terre altrui, che non hanno diritto a un loro stato, che non sono davvero ebrei ma turchi o unni (Shlomo Sand), che mentono sulla loro storia e non hanno nessun rapporto reale con la loro patria, che esagerano la Shoah e ne hanno fatto un’industria (tutti temi del palestinismo) eccetera eccetera.
In sostanza, secondo la proposta di Sharansky, le tre “D”: demonizzazione, delegittimazione, doppio standard. Sono opinioni, che pretendono in quanto tali di essere libere, anche se – guarda un po’ – si rivolgono solo contro un popolo, quello ebraico e contro il suo stato, Israele. Molti, non solo all’estrema destra, ma anche nella sinistra che si pretende moderata e in ambienti cattolici impegnati, rifiutano di comprendere che l’ostilità preconcetta e indiscriminata contro Israele, così diffusa nelle loro fine, è insieme causata dall’antisemitismo e ne costituisce la forma attuale. Avercela con Israele, hanno pontificato editorialisti e perfino sentenziato dei giudici (per esempio in Germania) può anzi essere una giustificazione per l’ostilità contro gli ebrei e perfini ad attacchi contro le sinagoghe.
Poi ci sono le azioni: perseguitare gli ebrei, espropriarli, costringerli a portare un segno di riconoscimento perché tutti possano maltrattarli, imprigionarli nei ghetti, impoverirli e umiliarli in ogni modo, ucciderli uno o uno o in massa come fecero i popoli europei e musulmani per comunità, in alcuni casi per gruppi nazionali (in Spagna nel 1492, in Polonia ne 1648 in Arabia ai tempi di Maometto) o a livello globale e industriale, che è il terribile primato dei nazisti. Oggi queste pratiche continuano, con attacchi terroristici che vengono qualche volta (per esempio in qualche caso negli Stati Uniti) dai neonazisti, ma in grande prevalenza dai musulmani, sia col terrorismo che colpisce Israele (sempre animato da un sottofondo religioso antisemita) e con quello che agisce in Europa, soprattutto in Francia, con casi come la scuola di Tolosa, il mercato kasher di Parigi, il museo ebraico di Bruxelles, ecc. Per fortuna, dopo i terribili episodi dell’attacco al Tempio di Roma (9 ottobre 1982) e degli attentati di Fiumicino (nel 1973 e nel 1985) in Italia non vi sono stati attacchi clamorosi di questo tipo.
Ma altrove sì, e bisogna notare che vi è una tendenza molto forte a negarne il nesso con il primo tipo di antisemitismo, per evitare di riconoscere la pericolosità delle “opinioni” contro gli ebrei, soprattutto se vengono da immigrati musulmani e loro discendenti.
L’antisemitismo tradizionale di destra, quello che cita i “Protocolli”, quello che è stato associato di recente ai nomi di Lannutti e di Castrucci, viene facilmente condannato, quello invece che cita il Corano e si scherma di antisionismo viene ignorato, minimizzato se non condonato. Peggio, anche i crimini di sangue, gli omicidi, insomma l’antisemitismo pratico e operativo, viene ignorato: viene nascosto o negato il legame che sempre ha con l’antisemitismo delle “opinioni” e talvolta viene perdonato anche il crimine vero e proprio.
E’ la storia terribile di un caso, quello di Sarah Halimi, che ha appena concluso il suo percorso giudiziario, con uno scandaloso non luogo a procedere. La storia è stata raccontata più volte e la riassumo qui velocemente: il 4 aprile 2017 Sarah Halimi, ebrea francese di 65 anni, madre di tre figli, medico in pensione, fu picchiata a lungo con estrema violenza nel suo appartamento, poi gettata dalla finestra e così uccisa da un suo vicino che le era entrato in casa, Kobili Traoré , 27 anni, musulmano fanatizzato originario del Mali, che dopo l’omicidio urlò, secondo molte testimonianze non smentite, il grido “Allah u akbar” di tutti i terroristi musulmani (che in realtà è una rivendicazione di fede diffusissima nell’Islam) e rivendicò di aver ucciso “Satana”. Non vi sono mai stati dubbi sulla dinamica dell’omicidio e neppure sulla sua natura antisemita, che del resto era stata provata anche da numerose minacce precedenti che l’assassino aveva fatto alla vittima. E’ insomma un caso indubitabile di omicidio antisemita.
Ma la giustizia francese, evidentemente riluttante a colpire questo crimine, ha trovato il modo di non condannare l’assassino, sostenendo che gli si doveva applicare l’infermità mentale, dato che aveva consumato dosi elevate di cannabis prima dell’assassinio. Che la droga sia un’attenuante, anzi un’esimente totale da un crimine efferato è un principio intollerabile. Come ha notato il Crif, organismo rappresentativo degli ebrei francesi, in molti casi come per esempio negli incidenti stradali, si tratta al contrario di un’aggravante. Non esiste nessuna legge che stabilisce che se qualcuno sceglie di drogarsi prima di una rapina o di un omicidio, questo debba renderlo irresponsabile. L’hanno deciso dei giudici (di primo grado a maggio scorso, d’appello pochi giorni fa) particolarmente sensibili alle “difficoltà” dell’assassino e indifferenti all’ingiustizia subita dlla sua vittima, “uccisa una seconda volta dalla giustizia”, come ha commentato il figlio di Sarah Halimi. Da lontano, cercando di essere poco emotivi, si può solo dire che vi è una compromissione istituzionale profonda dello stato francese con l’antisemitismo, in perfetta continuità con il regime collaborazionista di Petain. Di questa sentenza gli ebrei europei devono chiedere conto non solo a giudici evidentemente non interessati a fare giustizia, ma allo stato francese e a tutta l’Europa politica, che ancora una volta non interviene a tutelare la vita dei propri ebrei, sprecando invece espressioni di inutile moralismo in occasioni rituali come la Giornata della Memoria.