I numeri parlano chiaro: dal 1948 al 2012 la presenza ebraica ha avuto un crollo vertiginoso: da 856.000 a 4.315
Lo scorso giugno, la Knesset, il parlamento israeliano, ha stabilito che il 30 novembre ricordi l’esodo degli ebrei dai paesi arabi.
Il 30 novembre del 1947, all’indomani del voto di spartizione approvato dalle Nazioni Unite che sanciva la nascita dello Stato d’Israele, la città siriana di Aleppo fu data alle fiamme: 18 sinagoghe, 150 case, 5 scuole, 50 negozi tutti appartenenti ai membri della comunità ebraica furono devastati e bruciati dalla folla inferocita e lasciata libera di agire dalle autorità locali e nazionali che indirettamente diedero il via libera ai pogrom di matrice araba.
Nel febbraio del 47, Faris Al-Khuri, esponente siriano alle Nazioni Unite dichiarava: “Fintanto che la questione palestinese non sarà risolta, avremo molta difficoltà a proteggere gli ebrei nel mondo arabo.” Da qui, i tumulti del 30 novembre del 1947 che attraversarono tutto il mondo arabo ma altro non era che il culmine di quell’odio che aveva sete di morte perché gli episodi di violenza contro gli ebrei che abitavano nei paesi arabi già mille anni prima dell’avvento dell’Islam, si perpetravano dapprima del ‘47.
Più della metà degli ebrei che ora sono in Israele, non furono spinti verso il sogno sionista per via della Seconda Guerra Mondiale ma per via degli arabi. E considerando l’antico legame ebraico con le terre del Medio Oriente, la legittimità dell’unico Stato ebraico nel mondo è più che valevole.
L’allegato dimostra il crollo numerico tra il 1948 e il 2012 della presenza ebraica nel mondo arabo che invece oggi prospera e vive di uguali diritti rispetto agli ebrei israeliani in Israele.