Il termine feticizzato “occupazione” è uno dei preferiti dalla narrativa filopalestinese il cui scopo è di demonizzare Israele nell’arena pubblica. Vecchia tecnica, che il Dr. Joseph Goebbels riassumeva con elementare precisione nel sesto dei suoi undici comandamenti per una efficace propaganda, “La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente”.
I parlati dalle voci, non quelle delle muse, ma dei solerti funzionari delle menzogne programmate, cedono docilmente all’indottrinamento. Quando non si hanno idee proprie, il cervello si trasforma in carta moschicida sulla quale restano attaccate le idee altrui.
Il termine “occupazione” attribuito in modo specifico alla presenza militare israeliana in Cisgiordania, anche se di fatto esteso a Gerusalemme Est, evoca immediatamente nelle teste degli ascoltatori sprovveduti, l’idea che si perpetri un abuso nei confronti di qualcuno. Ed è questo, naturalmente, l’obbiettivo da raggiungere. Si creano lasche analogie, associazioni grossolane perfette per agglomerati cerebrali poco adusi a sottigliezze, e il gioco è fatto. Allora, Israele, l’”occupante” diventa come la Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, (paragone prediletto tra i più furenti detrattori, quelli che sovrappongono la svastica alla Stella di Davide), l’invasore di territori non suoi che dominerebbe di imperio e con violenza.
Scintilla cupo questo racconto nero, ha un suo indubbio fascino manicheo. I poveri “occupati” da una parte e i protervi “occupanti” dall’altra. Si tratta della dicotomia perfetta per gli urlatori armati di forconi e roncole, quella che divide il mondo in vittime e oppressori. La favorita per le tricoteuses della sinistra, mai orfana di lotte per “i diritti umani”, soprattutto dei palestinesi. Quelli dei curdi, dei rowinga, dei siriani, degli armeni, possono aspettare.
Ora, tutto ciò riguarda squisitamente l’uso politico del termine “occupazione” e non ha nulla a che vedere con la sua più complessa determinazione legale. Perché qui iniziano i problemi, e le testine indottrinate cominciano a smarrirsi, non trovano più la strada giusta. Urlano “occupazione!”, “occupazione!”, indicando risoluzioni ONU di smagliante partigianeria, confezionate da legulei maldestri e devotamente votate da numerosi stati che dei diritti umani hanno sempre fatto e fanno strame.
Tuttavia la materia è più complessa di come appare. Testa lucida, quella di Eyal Benevisti, provvede al loro smarrimento, quando in The International Law of Occupation, 1993, ci ricorda che:
“Il fondamento sul quale si basa l’intera legge dell’occupazione è il principio della inalienabilità della sovranità…Dal principio dell’inalienabilità della sovranità sopra un territorio emanano gli obblighi che la legge internazionale impone a un occupante”.
Già, il “principio della inalienabiltà della sovranità”. Ora chi detiene questo principio all’interno dei territori “occupati”? E’ forse ancora dell’impero ottomano?, della Gran Bretagna mandataria?, o della Giordania che se li annesse illegalmente nel 1951? Dei primi due non può essere per ovvie ragioni, e nemmeno della Giordania, la quale, nel 1994, negli accordi di pace firmati con Israele, non ha rivendicato alcun titolo che non avrebbe potuto, in ogni caso, avanzare.
Ma vediamo meglio. E’ indubbio che Israele sia presente militarmente in Cisgiordania e vi eserciti controllo e autorità, in modo specifico, dopo gli Accordi di Oslo del 1993, nell’Area C, ma di fatto estendendo la propria vigilanza sull’intera zona. Certamente, tuttavia, Dame Rosalyn Higgins, altra testa preziosamente lucida, ci ricorda in The Place of International Law in the Settlement of Disputies by the Security Council (1970) che:
“Non vi è nulla nella Carta delle Nazioni Unite o nella legge internazionale generale che possa portare a supporre che l’occupazione militare pendente un trattato di pace sia illegale”.
E, infatti, come potrebbe esserlo? La legge che regola la presenza militare occupante all’interno di un territorio che appartiene o è rivendicato da un uno Stato, fa unicamente riferimento alle modalità di amministrazione del suddetto territorio fino a quando il conflitto in essere sia terminato e venga negoziato un trattato di pace risolutivo.
L’occupazione, in quanto tale, non è illegale. Perché lo sia, dovrebbe infatti darsi un legittimo assegnatario a cui l’”occupante” conculchi i diritti di detentore legittimo. Anche ammettendo, in linea di principio, che la legge dell’occupazione belligerante sia applicabile a Israele, manca un fondamento essenziale su cui essa è incardinata, appunto il detentore legittimo del territorio sul quale l’occupante eserciterebbe il proprio potere temporaneo. Lo scopo della legge dell’occupazione belligerante non è solo quello di proteggere i civili dall’armata occupante, ma è anche quello, come scrive Yehuda Z. Blum, in The missing reversioner: reflections on the status of Judea and Samaria (1968), “di salvaguardare la reversibilità dei diritti del detentore sovrano spodestato”.
Per quanto riguarda la Cisgiordania chi sarebbe stato “spodestato” da Israele? Siamo di nuovo al punto di partenza. L’”occupante”, dunque, occupa ma non occupa, perché se è indubbio constatare che dopo la Guerra dei Sei Giorni Israele sia entrato in Cisgiordania in territori sui quali precedentemente non era presente, è altrettanto indubbio constatare che esso abbia restituito in toto all’Egitto l’intero Sinai nel 1979 a seguito degli Accordi di Camp David. E’ il motivo? Semplice. Su questi territori l’Egitto rivendicava legalmente la propria sovranità. Era, per citare di nuovo Yehuda Z. Blum, “il detentore sovrano spodestato”.
Al di là di tutto ciò, la presunta illegalità dell’occupazione, o meglio, presenza militare, è di fatto smentita ab origine dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922 fatto proprio dalla Società delle Nazioni e mai abrogato. Ovvero fatto proprio da quella stessa istituzione che oggi si chiama ONU. Solo che, nel 1922, la maggioranza politica non era né maomettana né sovietica.
Piccolo dettaglio. In questo testo fondamentale, agli ebrei veniva permesso di insediarsi in ogni parte della Palestina, Giudea e Samaria (Cisgiordania) e Gerusalemme Est incluse.
“Molti credono”, ha scritto Eugene W. Rostow, uno degli architetti della Risoluzione 242:
“Che il Mandato Britannico per la Palestina abbia avuto termine nel 1947 quando il governo britannico si dimise da potentato mandatario. Errato. Un accordo non cessa quando il fiduciario muore, si dimette, sottrae la proprietà affidata o è licenziato. L’autorità responsabile dell’accordo nomina un nuovo fiduciario o in alternativa dispone per l’adempimento dell’accordo…In Palestina il mandato britannico ha cessato di essere operativo relativamente ai territori di Israele e della Giordania quando questi due stati vennero creati e riconosciuti dalla comunità internazionale. Ma le sue normative sono ancora effettive relativamente alla West Bank e alla Striscia di Gaza (n.b. il testo è del 1990), le quali non sono ancora state allocate a Israele, alla Giordania o a uno stato indipendente“.
Difficile smentirlo. Finora, malgrado le acrobazie, le giravolte e i mascheramenti, non si è ancora riusciti ad abbattere questo “maledetto” testo fondante che garantisce agli ebrei piena legittimità di essersi insediati in Palestina, là, dove si trovano attualmente.