Barack Obama passerà comunque alla storia come un grande Presidente per il semplice fatto di aver conquistato la Casa Bianca ed aver così coronato il sogno del più grande dei presidenti: Abraham Lincoln. Ma quel che resterà dell’Amministrazione Obama appare decisamente tutt’altra faccenda. Il Jewish Dream di Lincoln si era invece realizzato immediatamente. Infatti i 6.000 militari ebrei che combattevano per l’Unione durante la Guerra civile furono autorizzati –nei limiti del possibile- a rispettare le tradizioni ebraiche. E non si deve dimenticare che sull’altro fronte, quello dei Confederati di Jefferson Davis, gli ebrei in campo erano 3.000. Questa premessa è indispensabile per ricordare come negli USA il contributo ebraico alla nazione sia risultato assolutamente straordinario.
Per uno dei singolari paradossi della storia, altrettanto è accaduto nella Russia zarista e poi in quella sovietica oggi ereditata da Vladimir Putin. Ed è ancora più singolare il fatto “Zar Putin” (così amano dipingerlo gli editorialisti) sia considerato un grande amico degli ebrei e di Israele, un paese che lui stesso definisce per quasi un terzo russo: grazie, peraltro, alla campagna Let my people go / Lascia partire il mio popolo che si dovette condurre per quasi vent’anni ai tempi dell’URSS di Leonid Breznev.
Più amichevole in ogni caso di Obama, secondo un luogo comune ormai accreditato sia in Israele che nella diaspora. E questo è davvero un altro paradosso. Infatti, nessun inquilino residente all’indirizzo di Pennsylvania Avenue 1.600 si è mai presentato come altrettanto friendly con i propri ebrei (sì, quelli del Principe in carica, proprio come qui da noi ma con altri numeri): cene di Pesach, lampade di Chanukkà, kippot a profusione. Ma il suo Capo di Gabinetto Rahm Emanuel, attuale sindaco di Chicago, restò in carica meno di 10 mesi all’avvio del primo mandato di Obama. E fu seguito da una vera jewish diaspora dalle alte sfere presidenziali. E allora, qual è il problema?
Nella durissima situazione internazionale di questi anni, la scarsa sintonia obamiana con Netanyahu è andata forse a vantaggio del premier di Israele. Questo Presidente non ha sicuramente nessun pregiudizio, ed anzi si considera –e certamente lo è– un vero amico. Ma è un amico della specie particolare che ritiene indispensabile dire cosa dovresti/devi fare per il tuo bene e dunque meritare di conseguenza la sua indispensabile, provvidenziale amicizia. E’ un problema che ha guastato molte relazioni internazionali dell’Amministrazione, soprattutto nel mondo arabo sunnita, ed anche con la Turchia. Per non parlare della Repubblica Popolare Cinese, e forse alla fine affonderà anche il contestato accordo nucleare con l’Iran. E dire che le rituali fughe di notizie dimostrano che l’accordo era già stato raggiunto con Ahmadinejad, ma si aspettava l’insediamento del più presentabile Rohuani per annunciarlo al mondo tra le fanfare mediatiche.
Non c’è bisogno di uno psicologo. L’approccio di Barack è elementare, e gli ebrei lo conoscono benissimo: “Te lo dico io che ho tanto sofferto, proprio come te, anzi ben più di te, e che resterò come te in minoranza, ma sono arrivato dove sono arrivato, e dunque seguimi e dammi retta, poiché presto saremo tutti in un mondo migliore.”. Se lo deludi e non sei capace di percorrere la strada giusta, ti abbandonerà al tuo destino, necessariamente pessimo. E’ andata così con le primavere arabe. Troppo facile dire che la grande politica non si fa in questo modo. Obama non si muove da solo, John Kerry e la vecchia America imperiale sono con lui. Bill Clinton disse di sentirsi corresponsabile della distruzione del popolo Tutsi in Ruanda nel 1994, per non aver mandato sul campo i Marines. Obama non si sente minimamente coinvolto per la vicenda siriana. Almeno 400.00 morti al febbraio 2016, 4.500.000 di rifugiati oltre i confini, 7.600.00 profughi interni: stime ONU. Quello di Obama sarà un lascito poco tranquillizzante. Donald Trump forse si prenderà gli USA, però è un isolazionista convinto, e a differenza di Hillary Clinton cercherebbe di evitare il confronto con la Cina ritenuto inevitabile dal Pentagono. Il contenimento della Cina costituisce la priorità strategica degli USA.
Teheran dentro, Arabia Saudita fuori poiché gli analisti del Dipartimento di Stato la ritengono vicina al collasso politico e finanziario. Nuts, balle, avrebbero di nuovo detto i soldati che a Natale del 1944 bloccarono la Wehrmacht a Bastogne. I Democratici vogliono conservare l’impero americano, cioè l’impero del biglietto verde, senza concedere nulla ai cinesi e facendo per ora combattere gli altri. Anzi vorrebbero bloccare su tutti i lati l’Impero di Mezzo, la Cina, sperando che qualche potenza si presti al gioco. E dunque semaforo verde alla Russia in Siria, all’Iran nel Golfo, al Giappone nel Pacifico. Ma il via libera a Putin in Siria ormai viene considerato un assurdo autogol. Nel corso di una recente e contestata intervista a Jeffrey Goldberg di The Atlantic, il Presidente ha dichiarato di regolarsi secondo il buon vecchio detto delle fattorie nel Midwest, ovvero il “principio di Tom Sawyer”: se il tuo vicino vuole dipingere la staccionata di confine senza chiederti il permesso, lascialo fare. Qualcuno ha osservato che dopo l’intervento dei russi non ci sarà più la staccionata, e neppure la fattoria.