Dopo più di un anno e con l’avvicinarsi della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, dobbiamo ancora constatare la mancata solidarietà esplicita da parte di alcune organizzazioni e gruppi di attivisti per la sicurezza delle donne nei confronti delle donne israeliane vittime di violenza e stupro il 7 ottobre 2023.
Durante l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre che ha innescato l’attuale guerra, centinaia di donne israeliane sono state brutalmente bruciate, decapitate, violentate, uccise e rapite.
L’ONU non ha affrontato o menzionato nessuna di loro. E come se non bastasse, l’organizzazione non ha fatto alcun appello per il ritorno delle donne ostaggio, tra cui ragazze e donne anziane. Non è stata richiesta neanche una visita della Croce Rossa o di altre organizzazione per i diritti umani.
Dopo che i terroristi di Hamas hanno iniziato ad assassinare, stuprare e rapire quante più donne possibile, ci si sarebbe potuti aspettare una condanna diffusa da parte dei gruppi femministi occidentali. Dopo tutto, i miliziani di Hamas avevano fornito prove sufficienti dei loro crimini: nel giro di poche ore, diffondevano grazie alle body cam (telecamere portatili che in genere si indossano o si posizionano sulla testa), filmati di giovani donne rapite con pantaloni insanguinati che venivano esposte come trofei.
In UK
In Inghilterra, la Southall Black Sisters, un’organizzazione benefica impegnata a porre fine alla violenza contro le donne, ha “pianto” la perdita di vite umane da entrambe le parti, ma ne ha attribuito la colpa alla “dichiarazione di guerra del governo israeliano a Gaza”.
La Women for Women UK, specializzata nell’aiutare le “donne sopravvissute alla guerra” e che si definisce un'”organizzazione apartitica“, ha deciso di raccogliere fondi solo per le donne palestinesi.
La situazione in Italia
In Italia non è andata di certo meglio. “Non Una Di Meno“, una organizzazione che si definisce: “movimento femminista e transfemminista che si batte contro ogni forma di violenza di genere, contro tutte le facce che assume il patriarcato nella società in cui viviamo” non ha proferito parola circa il dramma vissuto dalle donne israeliane. Anzi, durante alcune delle loro manifestazioni a Roma, una ragazza spiegava che la radicalizzazione della società palestinese è tutta colpa dell’occupazione israeliana ed il 7 ottobre è colpa della comunità internazionale che è stata assente e ha voltato le spalle al popolo palestinese. E alla domanda se credessero alle donne israeliane, la risposta fu aberrante: “Beh se è vero, lo devono dimostrare, se è come dicono“.
Stesso scenario si è ripetuto l’8 marzo, una manifestazione a favore delle donne si è trasformata in un corteo a favore della Palestina, in cui si sono viste bandiere palestinesi, si è parlato dello “stop al genocidio” al grido del famoso slogan “dal fiume al mare, Palestina libera”, che significa negare l’esistenza dello Stato di Israele.
Anche in questa sede non è stata spesa una parola nei confronti delle donne uccise, rapite, stuprate da Hamas e delle donne che sono ancora ostaggio dei terroristi. Donne ovviamente israeliane.
Believe in Israeli women
Per cercare di porre fine a tutto ciò, dopo il 7 ottobre le femministe israeliane hanno lanciato #MeToo_Unless_Ur_A_Jew, una campagna che chiede all’UN Women, ente delle Nazioni Unite dedicato all’uguaglianza di genere e all’empowerment delle donne, di concentrarsi sulla violenza di genere contro le donne israeliane.
“Le UN Women stanno chiudendo un occhio sui crimini di guerra feroci di Hamas rimanendo in silenzio“.
Molte delle vittime di stupro sono morte o rapite; altre sono troppo traumatizzate per parlare. Ma la storia emersa è insopportabile nel suo orrore: stupri di gruppo di donne, cadaveri, corpi massacrati durante o dopo aggressioni sessuali e mutilazioni genitali.
Il 25 novembre, come possiamo parlare di eliminazione della violenza contro le donne se si sta tacitamente dicendo che è accettabile stuprare quelle ebree? Quale sarà il passo successivo a questa empatia selettiva?