Il discorso di Benjamin Netanyahu alla settantaduesima Assemblea Generale ONU (qui il testo integrale) è stato uno dei più illuminanti della sua carriera. Non si tratta solo di una valutazione personale, ma del cambio di retorica che il Premier ha voluto esprimere sottolineando per la prima volta gli avvenimenti dell’ultimo anno con un velo di positività ed ironia. E’ una casualità che il più importante incontro in materia ONU del mondo si sia tenuto, quest’anno, un giorno prima di Rosh ha Shanà, una delle festività più importanti del Calendario Ebraico, un giorno nel quale siamo soliti tirare le “somme” dell’anno che stiamo per lasciarci alle spalle. Così ha fatto anche Netanyahu, parlando di fronte ai leader e ai rappresentanti di tutto il mondo, per la prima volta nella sua carriera lasciando poco spazio alle critiche e aprendosi ad una nuova era di cooperazione e di relazioni positive anche con le nazioni storicamente più ostili.
Tutto cominciò un anno fa, nella medesima sede. Tutti pensavano che il discorso del Leader Israeliano si sarebbe focalizzato sul nemico iraniano, sul maledetto accordo del p5+1 in ambito nucleare, sulla nuova ondata di antisemitismo, o anche sulle critiche verso le azioni belligeranti di Fatah e Hamas. Ma questo non è accaduto, per meraviglia della comunità internazionale Israele non è apparso come un paese pronto a lamentarsi di ciò che la comunità internazionale ha voluto togliergli, ma su ciò che la comunità internazionale gli ha offerto nel corso dell’anno ancora precedente. Certo, i riferimenti all’Iran, una nazione governata da chi si appella alla distruzione dello stato di Israele con cadenza giornaliera per mantenere la posizione di potere, non sono mancati, nè l’anno scorso nè quest’anno.
Ma lo spazio per le critiche verso chi ha condotto all’apertura con un Iran quasi dichiaratamente nuclearizzato e che solo pochi anni fa era arrivato al punto da arricchire uranio su scala industriale è stato notevolmente ridotto lasciando spazio a questioni decisamente meno conosciute.
Quello che è emerso, invece, un anno fa, e che è stato ribadito ieri, è che mentre la comunità internazionale nella sua unicità continua ad condannare Israele per le più disparate motivazioni (non volendo menzionare anche le ridicole risoluzioni UNESCO che mirano a cancellare il legame dell’ebraismo con Gerusalemme), numerosi singoli stati nazione da ogni parte del mondo stanno aprendo le proprie porte a Israele.
E se Israele non fosse più circondata dai nemici? Come, dopo un anno passato all’insegna di venti risoluzioni ONU contro Israele e tre contro tutti gli altri stati del mondo messi insieme, la “guerra fredda” tra Nazioni Unite e Israele può giungere ad una fine?
Può, sfortunatamente, grazie alle gravi crisi che hanno interessato gli stati sottosviluppati e quelli in via di sviluppo negli ultimi dieci anni. Può, se si pensa che Israele ha allacciato in pochissimo tempo relazioni con numerosi nazioni dell’Africa Subsahariana, dell’America Latina, del mondo arabo. Può se si pensa che Israele è una nazione che per tutta la sua esistenza ha dovuto ingegnarsi per costruire sistemi idrici e di purificazione dell’acqua al minor costo possibile, per coltivare terre semi desertiche, oltre che per combattere non solo contro gli eserciti di ogni singolo stato confinante, ma anche contro la minaccia terroristica che si è nascosta per decenni dentro i suoi stessi confini.
Può, nel momento in cui nazioni in difficoltà, devastate dalle epidemie di ebola, dalle carestie e dalla mancanza di acqua, da terremoti e uragani, dalla povertà, dalla fame e per ultimo ma non per importanza, dalla violenza del terrorismo e dei gruppi armati, trovano un partner a cui affidarsi, anche se lo hanno stigmatizzato per i settant’anni precedenti.
Ed ecco che, un anno fa, Netanyahu ha citato Etiopia, Senegal, Rwanda, Kenya, Malawi, Uganda, Ciad, Zambia, Tanzania, Sierra Leone, Liberia, Guinea e Sudan, tutte nazioni che hanno stretto la mano a Israele e hanno aperto le porte agli aiuti umanitari dello stato ebraico. Ospedali, medicine, tecnologia innovativa per le strutture sanitarie, sistemi di irrigazione a basso costo, tecniche per la meccanizzazione agricola, tutto “Knowledge” israeliano che ha permesso a migliaia di persone di nutrirsi e di sopravvivere. In ambito militare, Israele ha aiutato e sostenuto il Kenya nella lotta contro il terrorismo somalo, contro Boko Haram e il gruppo di Al-Shabaab,i gruppi jihadisti più attivi nella zona. Come non citare gli aiuti umanitari inviati in Cile, dopo il terremoto del 2010, ad Haiti e in Messico, il sostegno nell’aiuto alla lotta contro le FARC in Colombia, tecnologie per l’intelligence e la sicurezza in Brasile per contrastare i cartelli della droga e per garantire l’incolumità del pubblico durante le manifestazioni olimpiche e i mondiali di calcio.
Insomma, se questo è il quadro che Netanyahu ci ha fornito un anno fa, e se già questo aveva sconvolto i piani di chi continua a voler boicottare lo stato ebraico, quest’anno le relazioni di Israele con nazioni precedentemente ostili stanno aggiungendo picchi storici. Se in parte ciò si debba all’avvicendamento di Donald Trump alla Casa Bianca, e dell’asse che si sta provando a costruire contro la minaccia iraniana (asse che comprenderebbe sia Israele che il paese leader dell’universo sunnita, ovvero l’Arabia Saudita) non è facile da valutare. Quello che è certo è che anche il mondo arabo sta iniziando a comprendere la pericolosità del terrorismo Jihadista e l’importanza di avere un alleato così preparato in materia. Così pochi giorni fa si è tenuto l’incontro tra Netanyahu e Al Sisi, appuntamento importante nel rafforzamento del legame tra Israele ed Egitto.
Un altro legame che Netanyahu ha stretto con determinazione quest’anno è quello con l’India di Modi. Anche Kazakistan e Azerbaijan, nazioni a maggioranza islamica, stanno cooperando attivamente con Israele lasciando da parte le differenze religiose. Spazio anche ad una piccola parentesi sui rifugiati siriani, tra cui una grande quantità ha ricevuto cure proprio in Israele.
Ed ora veniamo alla parentesi iraniana, immancabile in qualsiasi discorso di Netanyahu degli ultimi anni. Certo, il leader israeliano ha ribadito l’importanza di cambiare l’accordo sul Nucleare, ha confermato la sua contrarietà verso la fiducia incondizionata che la comunità internazionale, in particolare l’occidente, ha mostrato verso la Teocrazia Sciita. Ma ha anche affermato, con determinazione, che la luce di Israele non si estinguerà mai, anche se è l’Iran a tentare di spegnerla. Una frase commovente pronunciata da un leader che non ha mai avuto paura di difendere il proprio paese della minacce esterne, ma anche da un leader che ha compreso come la totale responsabilità circa la situazione sia da imputare solo ed esclusivamente ai Leader Iraniani.
Come non citare, allora, la frase pronunciata in Farsi per concludere l’analisi di un discorso retoricamente perfetto:
“You are not our enemy. One day, my Iranian friends, you will be free from the evil regime that terrorizes you”
Sarete liberi, amici iraniani, dal regime che vi ha tolto la dignità, I diritti, la libertà, che vi tortura e vi costringe a sottomettervi senza esitare, un regime dittatoriale ed oppressivo dal quale, un giorno, l’orgoglioso popolo iraniano si libererà, ed allora l’amicizia tra due “popoli antichi” come il vostro ed il nostro emergerà senza più timori.
Questa sera festeggeremo il capodanno, e un pensiero, per lo meno il mio, andrà a tutti gli obiettivi che Israele ha raggiunto quest’anno, cosi come affermato nell’Assemblea, davanti ai leader di tutto il mondo. Penserò che un anno ha forgiato importanti alleanze e sotterrato l’ascia di guerra tra molti stati precedentemente ostili, ricordando tutto questo con positività e ottimismo per il prossimo anno.
Israele è entrato a far parte del cuore di molte nazioni, è dentro alle invenzioni che utilizziamo tutti i giorni, dentro alle medicine che speriamo di non prendere, è dentro l’acqua che una madre africana porta ai propri figli, dentro le speranze di un bambino siriano curato a pochi km di distanza dalla sua vecchia casa, dentro i volti di chi ha visto i volontari israeliani scavare tra le macerie causate da terremoto (ad Haiti, in Nepal, persino in Italia). E’ dentro anche nei cuori di chi ancora non è riuscito ad comprenderne la bellezza, ma è proprio quello che ci auguriamo per il prossimo anno. Alla prossima Assemblea Internazionale, al prossimo successo.
Shanà Tovà