Il treno numero 66 parte dalla stazione di Bobigny il 20 gennaio 1944 e arriva ad Auschwitz 29 ore più tardi. A mettere piede nell’inferno ci sono anche Alfred Nakache, il campione di nuoto ebreo francese ma nato in Algeria, sua moglie Paule e sua figlia Annie, che poco dopo salgono su un camion dirigendosi verso destra. Nakache, che viene mandato verso sinistra, non lo sa, non sa che quella sarà l’ultima volta che le vedrà, non sa che una da parte vengono mandati i destinati alla morte, dall’altra coloro che dovranno lavorare, finché le forze lo consentiranno.
Quando torna a casa dopo anni di soprusi e sofferenze, ci spera ancora, ma poco dopo capisce che le sue amate sono finite nella camere gas, dove la spietata macchina nazista decise di spedirle.
Era un uomo dotato di una grande volontà e forza d’animo, riteneva che lo sport e la politica non avessero nulla a che fare l’uno con l’altro, quando partecipò alle Olimpiadi di Berlino nel 1936 ospitate da quel paese che gli toglierà gli affetti più cari. Ma si sbagliava, forse anche qui, sperando che la malvagità umana avesse un limite.
Lo scopre a metà degli Anni 40 quando, dopo esser entrato nella storia del nuoto, con record e grandi vittorie, il suo idolo da bambino Jacques Cartonnet, ex nuotatore, divenuto giornalista scrisse che un ebreo non può gareggiare con la Francia.
Una botta al cuore, una delle tante lacerazioni subite da Nakache che ad Auschwitz è vicino al pugile Victor Perez e gli capita di conversare con un italiano, il cui nome è Primo Levi.
Nakache, prigioniero numero 172763, viene riconosciuto dalle guardie che lo umiliano mandandolo a nuotare in quella che più che una piscina è una vasca funge da riserva d’acqua, in caso d’incendio. Acqua sporca dove più volte al giorno è costretto a recuperare gli oggetti lanciati da soldati, a cui chiede di gettarne altri “per allenarsi meglio” e rispedire ai mittenti l’umiliazione.
Nakache diventa il “nuotatore di Auschwitz” e quando occorre lasciare il campo perché avanza l’Armata rossa, è tra i 1.368 che partono a piedi verso Gleiwitz e Buchenwald. Ne arrivano solo 47 in quella che è stata stata chiamata la Marcia della morte.
A Buchenwald rimane tre mesi e qualche settimana in più dopo la liberazione, nella speranza di avere notizie della sua famiglia. Torna in Francia e dopo molte insistenze gli amici, che nel frattempo gli hanno dedicato la piscina credendo fosse morto, lo convincono a riallenarsi.
Nel 1946 Nakache fa registrare un altro un record mondiale della 3×100 mista. Quattro anni più tardi sposa Marie, cercando un po’ di normalità, che probabilmente non troverà più fino alla morte il 4 agosto 1983.