La situazione in Medio Oriente e il ruolo dell’ Iran. La nuova Siria che si sta configurando in questi giorni rappresenta il punto di frattura da cui sorgerà il nuovo Medioriente. Un terreno di scontro tra Russia, Stati Uniti e Cina. Coloro che pensano ad una ripetizione della Guerra Fredda sulle rive dell’Eufrate si stanno sbagliando. Mosca non vuole in nessun modo la completa espulsione degli Stati Uniti dal quadrante mediorientale, ma solo un suo ridimensionamento.
Ma un altro importante fattore da considerare non può che essere l’Iran.
L’alleanza Teheran-Damasco
L’alleanza tra l’Iran e la Siria è una costante storica. Un asse strategico dal 1979, anno del defenestramento della dinastia Pahlavi.
È una relazione privilegiata che ruota intorno a tre fattori: l’ostilità verso Israele, il contro-bilanciamento dell’influenza occidentale in Medioriente e il contenimento del sunnismo revanscista.
Il ruolo dell’Iran è ben approfondito da molto tempo nei rapporti con la Siria. Nel 1980, la Siria è stato l’unico Paese arabo a schierarsi con Teheran nella guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein, fornendo loro armi e materiali, missili terra-aria e razzi anticarro, autorizzando inoltre piloti dell’aviazione iraniana ad atterrare nelle basi siriane in caso di emergenza. Non ultimo, addestrava gruppi di dissidenti curdo-iracheni.
In cambio riceveva petrolio a prezzi stracciati e, in seguito, know-how per il programma di armi chimiche. La storia insegna che l’asse Damasco-Teheran assomiglia molto a un patto di ferro. Difficile che possa incrinarsi in futuro.
Nella crisi siriana si ridisegnano le sfere d’influenza e le mappe geografiche. In una sempre più probabile spartizione della Siria in sfere d’influenza i progetti iraniani sono lungimiranti. E Teheran vi sta investendo i suoi cervelli migliori. Non si spiegherebbe altrimenti la presenza continua al fronte del maggior generale Qassem Suleimani, numero uno della forza Quds dei pasdaran. L’uomo risponde direttamente alla Guida suprema della Rivoluzione, Ali Khamenei.
È spesso in primissima linea, per galvanizzare le milizie sciite siriane, irachene, afghane, pakistane e l’onnipresente Hezbollah, che nei combattimenti degli ultimi anni ha perso un terzo dei suoi uomini.
L’aiuto iraniano alla Siria
Ma qual’è concretamente l’apporto iraniano in Siria? Fin dal 2011, Teheran è andata immediatamente in soccorso dell’alleato siriano, messo in difficoltà dalle prime sedizioni interne. Il Ministero dell’Intelligence e della Sicurezza (VEVAK) disponeva già di centri di ascolto e intercettazione nel nord-est del paese e nei pressi del Golan. Monitorava la situazione, nell’ambito del trattato di mutua difesa con la Siria, fornendo un aiuto cruciale sia in termini di sicurezza pubblica, sia d’intelligence. Quando la situazione è precipitata, a inizio 2011, Mohammed Nasif Kheirbek, uomo del clan Assad e dell’intelligence nazionale, si è offerto come intermediario con gli iraniani.
Ha promosso la creazione di un insieme di depositi di stoccaggio e di arsenali nell’aeroporto di Latakia, dove imperano oggi i russi. La missione ha avuto successo, perché il complesso industriale dell’IEI (Iranian Electronic Industry), contraente della Difesa, si è subito attivato, trasferendo materiali preziosi al General Intelligence Directorate siriano: dai disturbatori di radiofrequenze ai jammer campali, per un valore non inferiore ai 3 milioni di dollari.
Esperti iraniani hanno cominciato a fare la spola con Damasco per formare unità anti-ribellione e fornire know-how di sorveglianza delle reti telefoniche e informatiche.
C’è una sorta di regola generale nell’organizzazione iraniana, perché usualmente il Ministero dell’Intelligence e della Sicurezza fornisce le informazioni, il sostegno logistico e le trasmissioni; i pasdaran fanno il lavoro sul “campo” e la forza Quds si occupa delle operazioni di forza più ardite e violente. I Guardiani della Rivoluzione vantano una lunga esperienza di operazioni contro-insurrezionali.
Hanno mandato alla corte di Assad gli uomini più esperti, provenienti dalle provincie più calde del paese. Quando Damasco ha cominciato a perdere terreno a nord e a est, nell’estate del 2012, Teheran ne ha puntellato le difese nel ridotto centrale e meridionale.
Ha aiutato Assad a formare nuove unità militari e ad addestrare le vecchie. Il 416° battaglione di forze speciali è stato inquadrato dagli iraniani nel complesso di al-Dreij, fra Damasco e Zabadani, città chiave, dove i pasdaran agiscono almeno dal 1982 in direzione del Libano, organizzandovi i rifornimenti di armi agli Hezbollah.
Fra il 2011 e il 2012, l’Iran ha avviato anche la formazione di gruppi di miliziani sciiti, con una duplice finalità: bilanciare lo sgretolamento dell’apparato militare siriano, rafforzandone la massa di manovra, e garantirsi una forza stabile nel caso di rovesciamento del regime di Assad. Secondo alcuni esperti statunitensi, la National Defence Force (gruppo militare siriano organizzato dal governo del presidente Bashar al-Assad) è stata voluta e addestrata da membri dei pasdaran e di Hezbollah. Si tratta di circa 50-70.000 uomini, prevalentemente siriani sciiti e alatiti.
Ne paga addirittura gli stipendi, che variano da 100 a 160 dollari mensili, a seconda del grado. Ha inoltre mobilitato gli ex miliziani sciiti iracheni e formato per prima la brigata Abu Fadl al-Abbas, cui ne sono seguite diverse altre.
Anche le famigerate brigate di Hezbollah in Iraq, i combattenti di Asa’ib Ahl al-Haqq e gli irregolari della milizia Badr sono passati all’azione, ricevendo ordini, armi ed equipaggiamenti da Teheran, che ha garantito al regime uomini motivati e un imprescindibile sostegno logistico, via aria. Sempre i pasdaran hanno reclutato nuovi combattenti fra i rifugiati afghani in Iran.
Hezbollah in Siria
Ecco per l’appunto Hezbollah. Non è chiaro quanti miliziani sciiti libanesi siano in teatro: le stime variano da 2.000 a 4.000, riservisti compresi. Il che equivarrebbe a un quarto circa delle disponibilità del movimento. Ogni zona di operazioni di Hezbollah ha un comando indipendente. Gli operativi agirebbero in seno a unità multinazionali, comprendenti pasdaran, membri della forza Quds e altri miliziani, coordinati con le unità regolari del regime e i consiglieri russi. Ma c’è un’eccezione, lungo la frontiera libanese, dove gli Hezbollah non rispondono a nessuno e si muovono indipendentemente, non tanto per proteggere le popolazioni sciite, quanto piuttosto per preservare i corridoi di transito delle armi iraniane.
Dal 2000 almeno, i pasdaran si servono della piattaforma siriana per i trasferimenti di armi a Hezbollah. Con il conflitto in corso, la via aerea è divenuta la più sicura e ha soppiantato le direttrici terrestri e marittime. Anche le compagnie commerciali collaborano al “ponte aereo”: Iran Air, Mahan Air e Yas Air trasportano combattenti, munizioni, razzi, cannoni e antiaerei.
Gli aiuti militari iraniani in Siria
Al centinaio e passa di velivoli commerciali si sommano i cargo militari: almeno 3 Antonov An-74 e 2 Ilyushin Il-76. Il traffico è intenso. Teheran fa affluire in Siria pezzi di ricambio per gli MBT T-72, razzi Falaq-2, missili Fateh-110, obici da 120 mm, lanciarazzi da 107 mm, jeep e altri veicoli. Tecnici iraniani avrebbero contribuito anche alla realizzazione delle bombe al cloro, usate ripetutamente dai lealisti del regime.
Grazie ai filmati apparsi su Youtube, abbiamo visto più volte droni iraniani sorvolare Idlib, Homs, Damasco e Aleppo: UAV da ricognizione come i Mohajer 4, gli Ababil-2, i Mirsad-1, gli Shahed 129 e gli Yasir. Da Teheran arrivano anche buona parte dei fondi per la manutenzione in Russia della flotta aerea siriana. Un mix di aiuti che si somma al supporto russo.
Dal dicembre del 2013, alcune fonti siriane affermano che l’impegno iraniano nel conflitto siriano è costato almeno sei miliardi di dollari Usa ogni anno, mentre altre fonti occidentali ipotizzano un sostegno finanziario addirittura doppio.
È probabile, secondo molteplici fonti, che gli scontri più rilevanti in Siria cesseranno alla fine di questo anno 2018. Non avranno ancora termine, probabilmente, i piccoli scontri tra le varie etnie e quindi tra i loro referenti esterni; ma il grosso delle azioni armate certamente cesserà, ormai le aree di influenza si sono stabilizzate. Il primo dato che salta agli occhi è che, malgrado tutto, le forze di Bashar al-Assad hanno vinto. Tutti gli attori internazionali operanti sul terreno, amici o nemici, non hanno difficoltà a riconoscerlo. Certo, né Assad né la Russia hanno da soli la forza di compiere la ricostruzione del Paese.
Il gioco si farà davvero duro quando si arriverà al momento della ricostruzione. La più importante leva futura dell’influenza esterna sarà ancora una volta la Repubblica Araba Siriana.
Russia e Iran detengono, già ora, la maggioranza dei contratti per la ricostruzione, mentre acquisiranno la gran parte del settore pubblico, per ripagarsi delle spese militari in cui sono incorsi per mantenere il regime di Assad.
La Banca Mondiale valuta il costo della ricostruzione a 250 miliardi. Altre valutazioni, meno ottimistiche, ma più realistiche, pensano che la ricostruzione nazionale siriana arrivi fino a 400 e perfino a 600 miliardi di dollari statunitensi.
Dopo sei anni dallo scoppio del conflitto, nel 2011, la grande diaspora di businessmen siriani si è ritrovata in Germania, alla fine di febbraio 2017. Da lì è stata fondata la Siba, Syrian International Business Association. Per quanto riguarda la grande ricostruzione siriana, sono già attivi i governi russi, iraniani e cinesi che si sono già assicurati i più grossi contratti nei settori degli idrocarburi, dei minerali, delle telecomunicazioni, delle costruzioni immobiliari e delle reti elettriche.
Per quanto riguarda le normative, Damasco sta continuamente modificando le norme riguardo alla struttura delle società operanti, ai permessi di lavoro, alle importazioni, ai trasferimenti di valuta. Una egemonia statuale, nella vecchia tradizione baathista, il vecchio socialismo nazionale siriano che però si adatta alla struttura dei mercati contemporanei.
Tornando all’Iran, e alla fase di ricostruzione della Siria, pensate che è stato Mohammad Bagheri, Capo di Stato Maggiore delle forze armate iraniane, ad annunciare l’intenzione di costruire anche una base navale sul territorio siriano. Questo per controllare il mare davanti al Libano, creando un ulteriore motivo di preoccupazione per il vicino Israele e non solo. L’idea di una presenza iraniana in un punto strategico come le acque adiacenti Beirut potrebbe non piacere a Putin, che conta una propria base a Tartus, vero avamposto russo nel Mediterraneo.
Altre fonti vicine all’Ayatollah Khamenei, invece, parlano di una possibile base, anche sottomarina, in un’area ancora più occidentale, tra Cipro o alcune isole greche del Dodecanneso. In entrambi i casi l’effetto immediato sarebbe un innalzamento della tensione nell’intera area mediorientale.
L’Iran non ha mai nascosto d’altro canto che il suo obiettivo, con la partecipazione alla guerra in Siria, è di egemonizzare la regione ai confini con Israele per meglio tenere sotto scacco lo Stato ebraico.
Ora un’ultima considerazione: lo sviluppo del programma missilistico iraniano. L’aumento dei fondi destinati al programma dell’ultimo anno confermano la volontà dell’establishment iraniano di perseguire il consolidamento della capacità missilistica. Diversi analisti militari giudicano l’arsenale balistico di Teheran il più completo e avanzato della regione. Oltre alla varietà di missili a breve e medio raggio, che garantiscono un importante sistema di difesa per il paese, e accrescono la capacità di deterrenza sullo stretto di Hormoz, nel settembre del 2017 l’Iran ha testato un missile nominato Khorranshahr, una versione iraniana del nord coreano Hwasong-10, con una gittata di oltre 2000 chilometri, dimostrando di poter colpire i principali nemici nella regione: Israele e Arabia Saudita.