Massimo D’Alema: quarant’anni di filoislamismo

Victor Scanderbeg Romano
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico
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Dossier

Massimo D’Alema: quarant’anni di filoislamismo

Dossier
Victor Scanderbeg Romano
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico

Massimo D'Alema

La recente esternazione di D’Alema, “Renzi è un uomo del Mossad”, riportata sulle pagine del Corriere delle Sera da Maria Teresa Meli, ha creato scalpore (e anche qualche risata). Eppure si tratta di un’affermazione perfettamente coerente con la progressiva radicalizzazione delle posizioni anti-israeliane e filo-islamiche dell’ex-segretario del Partito Comunista Italiano. Dobbiamo immaginare che, come suo padre, il Senatore Giuseppe D’Alema, e tanti altri comunisti, anche il giovane Massimo abbia seguito il netto “Compagni, dietrofront!” giunto dall’URSS all’inizio degli anni sessanta in relazione all’atteggiamento da tenere nei confronti di Israele. D’altronde, è proprio il giornale di partito comunista, L’Unità, a fornirci una visione dettagliata degli effetti provocati dal brusco diktat sovietico. È sufficiente sfogliare le pagine dell’organo di partito dell’epoca per leggere affermazioni quali “Ho visto combattere Israele, superiorità tattica e morale”, “il Gran Muftì, ex fedelissimo di Hitler, sta preparando assieme ai signorotti della Lega Araba l’invasione della Palestina ed il massacro degli ebrei”, “Il Governo Britannico ha combattuto una guerra non dichiarata ma effettiva contro gli ebrei, col confiscare le loro armi mentre essi erano esposti agli attacchi arabi”, ecc.

Solo successivamente, visto l’avvicinamento degli USA a Israele, iniziamo a leggere i vari “Israele forza occupante” “Israele colonialista” e “Israele torturatore” che sono in voga ancora oggi presso coloro i quali preferiscono una cieca osservanza dell’ideologia allo studio della storia.

È in questo contesto che emerge, poco più che ventenne, il giovane D’Alema. Oltre a scrivere per il periodico togliattiano Rinascita, egli, sotto l’ala protettiva della rispettata figura paterna, arriva in breve tempo a essere segretario dei Giovani Comunisti. Proprio in queste vesti, il 12 luglio 1976, ossia a una settimana dalla liberazione degli ostaggi israeliani sequestrati sul volo 139 dell’Air France, il ventiseienne Massimo si esprime così in un’intervista a L’Unità (giornale di cui diverrà direttore qualche anno dopo): “È ormai evidente a tutti che nello sviluppo della situazione in Medio Oriente sempre più gravi sono le responsabilità di Israele, che mentre si ostina a respingere qualsiasi proposta di soluzione pacifica, che riconosca i diritti del popolo arabo palestinese al pari di quelli del popolo israeliano, tenta di imporre con la forza la propria volontà”

Per D’Alema Israele, nonostante le tre guerre vinte in cui è sempre stato aggredito da tutte le nazioni confinanti, è solo un feroce aggressore che si ostina a rifiutare le proposte di pace. Verrebbe da chiedersi se D’Alema avesse chiara la politica dell’OLP nel 1976, visto che era appena stato testimone, assieme al resto del mondo, della ferocia dei terroristi palestinesi. Ma evidentemente il contrordine dell’URSS aveva già dato i primi frutti, instillando un cieco pregiudizio anti-israeliano nelle menti delle nuove leve politiche. Il generico interesse manifestato dall’OLP verso un accordo con Israele, specie dopo i fatti legati a Settembre Nero e alla Guerra del 1973, si era rivelato infatti uno specchietto per le allodole. Il Fronte Nazionale per la Liberazione della Palestina, membro OLP fino al 1974, aveva infatti continuato a massacrare ebrei nel disinteresse (o connivenza?) delle altre fazioni palestinesi. Solo per rimanere alla prima metà degli anni’70, possiamo citare il massacro dello scuola bus di Avivim nel 1970 (12 morti, di cui 9 bambini), quello dell’aeroporto di Lod nel 1972 (26 morti e 80 feriti) e quello di Kiryat Shmona nel 1974 (18 morti, di cui 8 bambini). Tutti fatti testimoniano in modo inequivocabile la pressione del terrorismo palestinese su Israele. Ancora più grave era stato, sempre nel 1974, il Massacro di Ma’alot (30 morti, quasi tutti bambini), perpetrato dal Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, facente parte dell’OLP fautore del famoso “Programma dei 10 Punti” di Fatah.

Vale la pena ricordare che gli ultimi due massacri menzionati erano avvenuti appena due anni prima della dichiarazione di D’Alema, eppure il presidente dei Giovani Comunisti evita di menzionarli. Né gli interessa sottolineare come l’OLP consideri il “Programma dei 10 Punti” come una mera tappa all’interno del piano generale perseguito dall’organizzazione, che prevede l’espulsione degli ebrei dalla Palestina.
Si sa, sono Compagni che sbagliano.

La menzogna sottesa alla proposta di Fatah cade meno di due anni dopo, quando il partito rivendica il c.d. Massacro della Strada costiera. Anche in questo caso, L’Unità parla di “commando della resistenza palestinese”, di “azione contro veicoli militari” e lamenta “la rigida censura posta dalle autorità di Tel Aviv sulle notizie”. Visti i 38 civili morti, compresi 13 bambini, viene da chiedersi se la definizione di “veicoli militari” de L’Unità sia troppo ampia.

Elencare l’enorme numero degli articoli filo-islamici de L’Unità in seguito ad attentati palestinesi sarebbe troppo oneroso, ma bisogna almeno riportare l’incipit dell’agghiacciante comunicato del PCI successivo all’attentato del 1985 all’Aeroporto di Fiumicino: “Questi atti sanguinosi sono rivolti contro la causa della pace, contro la ricerca di una giusta soluzione ai conflitti dell’area del Mediterraneo, contro i diritti dello stesso popolo palestinese.”

Insomma, la storia ha ridicolizzato in ogni modo possibile le parole di D’Alema, che nella medesima intervista del 1976 si sofferma anche sull’esaltazione, da parte della stampa italiana, dell’impresa compiuta dal commando israeliano con l’Operazione Entebbe, in cui ha perso la vita, fra l’altro, il fratello dell’attuale premier Israeliano. D’Alema spiega che l’Operazione Entebbe è: “in contrasto con quella prospettiva di amicizia, solidarietà e cooperazione fra i popoli, particolarmente del Terzo mondo.”

Il riferimento ad “amicizia, solidarietà e cooperazione” è terribilmente fraintendibile, poiché l’Operazione Entebbe avviene nell’Uganda del sanguinario dittatore musulmano Idi Amin. Essere amici di una nazione gestita da un soggetto capace di far uccidere e torturare 300.000 persone in meno di dieci anni potrebbe essere considerato quantomeno di cattivo gusto, ma già nel 1974 Idi Amin aveva ricevuto dei segnali positivi dai comunisti europei, che lo consideravano un ottimo alleato nella battaglia contro il “capitalismo imperialista”, il genere in cui i comunisti dell’epoca avevano deciso di inserire una nuova specie: il sionismo. Nel febbraio 1974, sulle pagine dell’Unità era comparso addirittura un articolo in cui si diceva che “l’immagine [di Idi Amin] del dittatore stravagante e spaccone, pittoresco e imprevedibile” era stata “costruita dai mass media occidentali”.
Forse un altro Compagno che sbaglia.

In sostanza quindi, già nel 1976 D’Alema impastava l’antisionismo con il terzomondismo, e confondeva il dovere di dare la giusta considerazione al terzo mondo con quello di non intervenire in caso di dirottamenti e atti terroristici aventi luogo fuori dai confini nazionali.

Sono dichiarazioni di quaranta anni fa, eppure di eccezionale attualità visti i successivi sviluppi, fino ad arrivare ai più recenti, del pensiero di D’Alema. Dall’appoggio e all’amicizia dati ad Arafat e ai suoi rappresentanti italiani negli anni ’80 e ’90, l’ex- enfant prodige del PCI è arrivato a dare pieno supporto ai carnefici di Hezbollah, sancito definitivamente nel 2006 dopo un lungo corteggiamento. In quell’occasione, quando molti giornalisti fecero notare l’assurdità del suo comportamento, D’Alema rispose “riandrei a braccetto con Hezbollah”. E da quel giorno le cose sono peggiorate ulteriormente. L’idea fissa di D’Alema, almeno in relazione alla politica estera, è condizionata in modo sempre più torbido e incomprensibile dalla critica moralistica all’Occidente, rappresentato come il portatore di un peccato originale che non può in alcun modo essere espiato.

Con queste premesse, non deve stupire che la sua islamofilia esasperata sia giunta al salto di qualità. Oggi infatti si accompagna a soggetti ambigui come Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani, e a terzomondisti militanti quali il Prof. Ian Chambers (con cui presenzierà ad un evento pro-palestina il prossimo 15 marzo a Napoli), uno dei principali sostenitori italiani del movimento BDS, che ha ricevuto di recente il ringraziamento ufficiale di Hamas per il contributo dato allo sforzo palestinese volto alla distruzione di Israele.

Insomma, sono passate più di quattro decadi dai primi articoli firmati per la rivista Rinascita, eppure D’Alema non sembra aver dimenticato gli insegnamenti impartiti in quella redazione, fra cui spiccava il “Non separiamo e non possiamo separare le idee dai fatti”. La realtà storica deve inchinarsi ed essere modellata in base a un’ideologia, a prescindere da quanto contorta e deleteria possa essere quest’ultima.

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