Kamal Hachkar è un uomo molto coraggioso. Il suo film ‘Les Echos du Mellah – Tinghir-Jerusalem’ rappresenta in maniera efficace la coesistenza tra ebrei e musulmani berberi in Marocco prima che l’intera popolazione ebraica emigrò in Israele negli anni ’50. Questo però ha scatenato le ire di tutti quelli che da anni si oppongono alla normalizzazione dei rapporti tra Marocco e Israele.
Hachkar ha rintracciato gli ebrei nati nella sua città, Tinghir, ha imparato l’ebraico per comunicare con loro e ha girato la pellicola all’interno dei locali dell’Università di Tel-Aviv. Il suo lavoro è stato accolto positivamente dal Ministero degli Esteri israeliano che ha pubblicato sul suo sito web un’intervista al regista come esempio da seguire nei rapporti fra ebrei e musulmani.
In realtà l’opera di Hachkar è più una lode al pluralismo del Marocco: secondo lui gli ebrei marocchini sentono la loro cittadinanza come un titolo di seconda classe rispetto ad altre componenti della società israeliana e sarebbero stati tenuti in disparte dallo Stato nei primi anni successivi all’arrivo nello Stato ebraico. Ciò che Hachkar si rifiuta di vedere è che queste persone oggi si sentono a casa in Israele e non hanno nessun desiderio di tornare in Marocco.
In Marocco gli ebrei avevano lo status di “Dhimmi”, una condizione di sottomissione istituzionalizzata che li ha costretti a fuggire già agli inizi del diciannovesimo secolo. Alcuni riuscirono ad ottenere passaporti europei e a trasferirsi nella roccaforte inglese di Gibilterra, altri dovettero subire le rituali umiliazioni connesse allo status di Dhimmi per buona parte del ventesimo secolo nonostante l’abrogazione della norma da parte dell’Impero Ottomano. Il Marocco è infatti il paese che detiene il record di conversioni forzate e di rapimenti di donne ebree.
Gli ebrei marocchini vissero un periodo di relativa tranquillità durante gli anni del protettorato francese che però durò solo ventotto anni (1912-1940). Una volta ottenuta l’indipendenza, in Marocco riprese piede l’atmosfera di ostilità nei confronti degli ebrei ma non si arrivò mai al punto di privarli della cittadinanza e di spogliarli dei loro beni come in altri paesi arabi. In ogni caso furono molti gli episodi di intimidazioni e insulti ai danni della popolazione ebraica. Questa divenne inoltre capro espiatorio durante le violenze anti-colonialiste e il governo marocchino, invece di proteggere i suoi cittadini, peggiorò la situazione emanando nel 1956 una norma che proibiva agli ebrei di lasciare il paese. Il divieto fu rimosso in seguito alla tragedia di Pisces del 1961 in cui quarantatré persone in fuga dal Marocco affogarono per un problema all’imbarcazione, da quel momento lo Stato d’Israele pagò al Marocco circa duecentocinquanta dollari per ogni ebreo che voleva lasciare il paese.
Il film di Hachkar rientra nella strategia mediatica del Marocco di presentarsi al mondo come uno Stato in cui gli ebrei vengono trattati bene: ogni settimana arrivano notizie di Sinagoghe e cimiteri ebraici restaurati, agli ebrei esiliati è concessa la possibilità di tornare in patria e richiedere istantaneamente un passaporto marocchino. Le cause di questo atteggiamento sono molteplici e variano dalla geopolitica all’economia. Un buon rapporto con le comunità ebraiche garantirebbe, secondo alcuni analisti di politica internazionale, l’appoggio degli Stati Uniti nella disputa territoriale con l’Algeria per il Sahara Occidentale. Inoltre giocano un ruolo preminente i circa quarantamila turisti ebrei che visitano il paese ogni anno: le antiche sinagoghe, le tombe dei famosi rabbini e i quartieri ebraici sono attrazioni chiave per il turismo il cui Ministero è stato affidato a Serge Berdugo, capo di una delle comunità ebraiche locali.
Volendo mettere da parte le ciniche valutazioni geopolitiche il film di Hachkar è un buon esercizio di Public Relations che i governi dei paesi arabi dovrebbero imitare. L’importante è che a questo seguano azioni mirate a ristabilire la giustizia per quegli ebrei costretti a fuggire da casa loro.