Sentire giovedì sera a Porta a Porta, presenti Riccardo Pacifici e il rappresentante della Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, che, di fronte alle puntualizzazioni storiche di Pacifici, Vespa tagliava corto dicendo “Gesù è nato ebreo in Palestina” mi ha fatto tornare in mente i vecchi film americani sui dinosauri.
Tutti sapevano che all’epoca dei dinosauri l’uomo non era ancora comparso sulla Terra, ma era divertente andare al cinema e vedere gli uomini preistorici combattere, clava in mano, contro i mostri; l’effetto scenico era formidabile e il pubblico veniva emotivamente coinvolto nell’azione, dimenticando l’assenza del presupposto logico della contemporaneità.
Non posso pensare che un personaggio di grande spessore culturale come Bruno Vespa non sappia che non solo Gesù nacque ebreo, ma che i luoghi della sua vita, così come riportata dai Vangeli facevano parte del Regno di Giuda, l’antico Israele, sotto dominazione romana e che solo dopo 200 anni furono chiamati Syria Palestina, dal nome dei Filistei nemici di Israele, e Gerusalemme Aelia Capitolina in spregio ai suoi abitanti ebrei.
La propaganda palestinese negli ultimi anni ha inscenato presepi con Gesù palestinesi martirizzati da israeliani. Un travisamento della storia che dovrebbe far inorridire gli studiosi dei Vangeli e i cristiani tutti e che prosegue con l’appropriazione indebita dei luoghi archeologici dell’antica Israele, a volte con la complicità dell’Unesco, fino alla negazione delle tracce inconfutabili della presenza ebraica e addirittura dell’esistenza storica del Tempio di Gerusalemme.
Travisare questa memoria, confondere periodi e popoli è una forma di negazionismo storico che ha come scopo la delegittimazione dell’attuale Stato di Israele. Anche qui a Pallywood, come ad Hollywood, gli spettatori si suggestionano e accettano acriticamente ciò che viene loro propinato, fino a far dire all’ottimo Bruno Vespa, sicuramente al di sopra di sospetti di antisionismo, che Gesù è nato ebreo in Palestina.