Arruolamento con finalità di terrorismo internazionale e di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa.
È l’accusa rivolta a un giovane barese, arrestato dopo oltre un anno di indagini condotte dal procuratore di Bari Roberto Rossi, del procuratore aggiunto Francesco Giannella e del sostituto Ignazio Francesco Abbadessa.
Giovane ritenuto essere dagli inquirenti il referente italiano dell’organizzazione suprematista americana The Base e riconosciuto come tale da adepti, intenti a contattarlo.
Noto come Lone Wolf, nella chat di Telegram che utilizzava per reclutare nuovo “personale”, il 23enne barese, avrebbe anche minacciato di morte la sopravvissuta ai lager nazisti e senatrice Liliana Segre.
Ed è proprio dal monitoraggio del web che è partita la segnalazione della Digos per iniziare a indagare sulle attività di “Wolf”.
In particolare, le indagini si sono concentrare sugli ambienti online dell’estrema destra e su un canale chiamato Sieg Heil, come il saluto nazista, all’interno del quale il giovane di Bari avrebbe promesso contenuti antisemiti, contro le donne e di matrice neonazista.
Non solo, perché Lone Wolf si sarebbe dichiarato pronto a morire per difendere la razza bianca e passare dalle parole ai fatti, assieme ad altre persone (3 o 4).
E, infatti, all’interno della sua abitazione, sono state trovate armi, che si era procurato in vario modo: sottraendole alle guardie giurate dopo averle aggredite, rubandole o al mercato nero.
Armi sulle quali erano incise caratteri dell’alfabeto runico e i nomi di noti suprematisti responsabili di attacchi terroristici, come Traini, Breivik e Tarran.
A far innalzare la preoccupazione degli investigatori sono stati i collegamenti, definiti “allarmanti”, tra il materiale trovato e quello utilizzato da Payton Gendron, il 18enne americano che il 14 maggio scorso commise un attentato a Buffalo (USA), dove persero la vita dieci persone e altre tre vennero ferite.
“Allarmanti”, basta per che non bisogna abbassare la guardia?