Il parlamento de Libano non è riuscito a eleggere un nuovo presidente. Neanche al dodicesimo tentativo, infatti, la politica di Beirut è stata capace di andare avanti e guardare al futuro.
Un futuro sempre più a tinte scure, visto che il paese vive una crisi economica, politica e sociale da almeno tre anni.
Nel primo turno di votazioni Jihad Azour, ex ministro delle Finanze e alto funzionario del Fondo monetario internazionale, ha guadagnato 59 voti, un numero non sufficiente per la maggioranza dei due terzi necessaria.
L’ultimo tentativo, il dodicesimo per l’appunto, di scegliere un presidente è naufragato dopo che il blocco guidato dal gruppo terroristico Hezbollah si è ritirato, rompendo il quorum nella Camera dei 128 membri.
Così come il secondo, che richiedeva il sostegno di 65 deputati per vincere, ma il processo si è interrotto ancora una volta da Hezbollah e i suoi alleati, i quali si sono ritirati dalla sessione, lasciando il parlamento ancora senza i numeri necessari.
Il Libano cerca un successore di Michel Aoun, il cui mandato è terminato a ottobre. Libano che ha regole ben precise.
Nel paese dei Cedri, infatti, vige complicato accordo costituzionale di condivisione del potere: il presidente deve essere un ristiano maronita, il presidente del parlamento un musulmano sciita e il primo ministro un musulmano sunnita.
Il Libano ha fretta di eleggere una nuova guida. Come detto la crisi economica senza precedenti che l’ha colpito dovrà essere la prima problematica da risolvere.
E pensare che diversi analisti hanno accusato Benjamin Netanyahu di essere troppo attaccato alla poltrona. Quel Netanyahu eletto da popolo e in quella grande democrazia che è Israele.
In Libano, invece, si permette a un gruppo terroristico come Hezbollah di abbandonare l’aula e non permettere al paese di risollevarsi dalla crisi.