Mentre l’accordo per il nucleare fra l’Iran e gli Stati Uniti prende forma non bisogna sottovalutare l’importanza della situazione in Siria, in cui non solo muoiono in media cento persone al giorno ma sta diventando una vera e propria minaccia strategica per Israele al pari di quella iraniana.
L’Iran sta cavalcando bene il caos siriano lavorando a stretto contatto con il Presidente Bashar al-Assad con la scusa di proteggerlo dalle milizie jihadiste. In pratica qualsiasi decisione presa dal regime siriano è concordata con Teheran che ora ritiene insufficiente l’apporto di Hezbollah visti gli scarsi risultati nei combattimenti contro Jabhat al Nusra, emanazione in Siria dell’organizzazione terroristica al-Qaeda. I comandanti della Guardia Rivoluzionaria, corpo d’élite delle forze armate iraniane con una certa autonomia politica, hanno preso il comando delle operazioni nelle alture del Golan e 10,000 volontari sciiti provenienti da Iraq, Afghanistan e Iran sono stati mandati ad ingrossare le fila dell’esercito siriano nella lotta contro le milizie sunnite che ora puntano con forza alla capitale Damasco.
A questo punto Assad sembra ormai ridotto al ruolo di burattino nelle mani del regime degli ayatollah visto che il suo esercito ed il suo Stato si stanno piano piano dissolvendo. Israele sembra seriamente preoccupata dal processo di iranizzazione in corso a circa dieci chilometri dal suo confine, sebbene i rapporti con la Siria sono sempre stati tesi durante gli ultimi quaranta anni, il regime di Assad era visto come un “nemico meno pericoloso” rispetto all’Iran.
Washington è interessata solo a chiudere un accordo ad ogni costo, mentre Putin sembra aver ormai rinunciato al denaro derivante dalla vendita di armi e non ha più nessun vantaggio a difendere il Presidente Assad. L’Iran sta cinicamente cogliendo l’opportunità di colmare il vuoto causato dalla confusione di Obama nel gestire il Medio Oriente che ha ormai realizzato quanto l’azione della Coalizione Internazionale sia tardiva e poco incisiva: la tattica dei raid sulle postazioni dello Stato Islamico ha certamente indebolito gli uomini di al-Baghdadi ma non ha avuto nessun riscontro concreto negli equilibri di potere della regione. Di fatto gli Stati Uniti si stanno arrendendo alla possibilità che in cambio di un accordo sul nucleare l’Iran ottenga sia la Siria che lo Yemen e lo Stato Islamico, nonostante le perdite subite in Iraq, ha aumentato la sua influenza ideologica in almeno dieci Stati fra Medio Oriente, Africa e Sud-Est asiatico.
Questo è dovuto al folle rifiuto di Barack Obama di accettare che esiste un Islam radicale e terrorista e che è in corso una vera e propria guerra fra Sunniti e Sciiti per l’egemonia regionale. L’esempio che meglio esprime questa contraddizione è rappresentato dalla situazione in Libia, dove l’azione di contrasto alla nascita di un nuovo Califfato è guidata dall’Egitto di al-Sisi e non dalla nazione che ha dichiarato guerra al terrorismo dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001.
Le preoccupazioni israeliane per l’avvicinamento dell’Iran ai suoi confini sono ingigantite dai rapporti tesi con la Casa Bianca, ad oggi nella testa di qualsiasi analista che si occupa di Medio Oriente rimbalza una sola domanda: il discorso di Netanyahu al Congresso avrà fatto cambiare idea a Obama o lo renderà solamente più determinato a chiudere l’accordo con l’Iran? Israele sta monitorando attentamente la situazione: da una parte c’è la volontà di non farsi coinvolgere in una guerra che non gli appartiene, dall’altra se l’Iran riuscirà a prendere possesso del territorio siriano Israele si ritroverebbe con una realtà nuova, su cui perciò manca di esperienza, e ben più complicata delle scaramucce al confine con Hezbollah.