Dopo le rivelazioni delle vedove di Yossef Romano e André Spitzer, ormai dovremmo sapere tutto su cosa accadde quella tragica notte fra il 5 e il 6 settembre 1972: Moshe Weinberg, Yossef Romano, Yossef Gutfreund, David Berger, Mark Slavin, Yakov Springer, Ze’ev Friedman, Amitzur Shapira, Eliezer Halfin, Kehat Shorr, André Spitzer, 11 atleti israeliani che partecipavano alle Olimpiadi di Monaco, vennero uccisi dall’odio cieco di Settembre Nero, che fece irruzione nei loro alloggi all’interno del villaggio olimpico. All’organizzazione terroristica palestinese non bastò togliere la vita a 11 persone ma le picchiò e le torturò (Yossef Romano, pesista, venne addirittura evirato). Quello che non sappiamo è cosa successe nei giorni e nei mesi precedenti all’attacco.
A fare un po’ di luce è stato Shmuel Lalkin, capo della delegazione di Israele alle Olimpiadi di Monaco, che al Jerusalem Post ha dichiarato che in un mese prima dei Giochi, visitò il villaggio olimpico, vedendo che gli appartamenti destinati agli israeliani erano al primo piano, proprio accanto alla strada dove auto e bus potevano transitare liberamente e che proprio sotto l’edificio c’era una scala attraverso cui chiunque poteva entrare.
Non solo, perché Lalkin, che ha servito nel Palmach, la forza di combattimento d’elite della Hagana, chiese di spostare gli atleti israeliani a un piano più alto, ricevendo il secco rifiuto degli organizzatori, che non avevano alcuna intenzione di cambiare l’ordine degli alloggi perché era già stato tutto predisposto.
“Ho avvertito i capi delegazione e le autorità tedesche che la nostra residenza non era sicuro” ha continuato Lalkin, la cui stanza era a dieci metri dal luogo dell’attacco. C’è un altro piccolo grande particolare su quella notte, uno di quelli che cambia le sorti di una famiglia intera. Arye, figlio di Shmuel Lalkin, aveva da poco compiuto la maggiorità religiosa e chiese al padre di portarlo con sé a Monaco per vedere i suoi idoli da vicino. Venne accontentato, ma una volta arrivato in loco, fece un’ulteriore richiesta: dormire assieme a loro all’interno nel villaggio olimpico. Shmuel rifiutò e salvò il figlio. Una storia incredibile all’interno di una vicenda che con qualche accortezza in più, poteva essere evitata.
La domanda non è solo perché gli israeliani non vennero spostati, ma perché furono messi al primo piano?