A Sidone, nel Sud del Libano, una volta viveva una vibrante comunità ebraica ora fuggita per la maggior parte all’estero. La sinagoga della città oggi è uno dei tanti rifugi per le famiglie siriane e palestinesi scappate dalle persecuzioni in Medio Oriente.
Poche cose segnalano che il palazzo era una volta un luogo di preghiera, ad esempio il soffitto costellato di Stelle di David in ferro battuto. Un grande murale in rosso e oro decora l’interno, alcune lettere in ebraico sono ancora visibili nonostante le pareti siano state ridipinte dai nuovi residenti. Uno di questi è il siriano Jihad al-Mohammed che nel 1990 ha deciso di ripulire il posto per venirci ad abitare con sua moglie, sua madre e i suoi sei figli e che ha ha poi scelto di ospitare altre quattro famiglie di rifugiati siriani e palestinesi.
L’edificio è stato costruito nel 1850 e tecnicamente appartiene ancora alla comunità ebraica di Sidone che però non esiste più dal 1982, anno della partenza dell’ultima famiglia, i Levy. La vecchia sinagoga ha visto molte persone cercare rifugio sotto il suo tetto: durante gli anni si sono avvicendati soldati israeliani durante la guerra con il Libano, milizie antigovernative libanesi e uomini dei servizi segreti siriani.
Mohammed è riuscito a costruire all’interno una cucina, un bagno, due camere da letto e un salotto con tanto di televisione. Con la vernice rossa ha coperto tutte le citazioni in ebraico della Torah, il libro sacro degli ebrei, ma alla storia non si sfugge e visitatori dal Canada, Brasile e Francia in cerca del luogo in cui pregavano i loro antenati vengono continuamente a bussare alla sua porta. Addirittura nel 2012 due Naturei Karta, un gruppo di ebrei antisionisti che credono che Israele non dovrebbe esistere, vennero a pregare nella sinagoga sotto gli sguardi stupiti delle cinque famiglie. Fu la prima preghiera tenuta nell’edificio dopo 40 anni, un tentativo di far rivivere un luogo che una volta ospitava ben 50 rotoli della Torah, risalenti alla dominazione romana e ora ospitati in un museo israeliano grazie al recupero effettuato durante la guerra del 1982.
Solo un muro divide la famiglia di Mohammed da quella di Warda, rifugiata palestinese che vive li da sette anni con i suoi figli. Arrivata in Libano giovanissima è cresciuta nel quartiere ebraico di Sidone giocando con i bambini ebrei che li vivevano prima della guerra. Racconta di quando aiutava le donne nei lavori che non potevano svolgere durante lo Shabbat, dichiara con orgoglio che non c’era nessun tipo di tensione tra i diversi gruppi religiosi e che è dispiaciuta che tutti se ne siano andati per paura di ritorsioni.
Dei 7000 ebrei libanesi presenti nel 1967 oggi se ne contano 35 in tutto il paese. La maggior parte di essi è andata in Israele, Brasile e Stati Uniti già all’inizio della Guerra dei Sei Giorni. Nagi Gergi Zeidan, specializzato in storia degli ebrei in Libano, spiega che quasi tutti i palazzi delle comunità ebraiche di Sidone e Beirut sono stati trasformati in attività commerciali, specialmente le vecchie sinagoghe. Visibilmente triste, il suo commento alla notizia è stato “la partenza degli ebrei dal Libano è stata simile all’amputazione violenta di un braccio.”