Se prima era solo un sospetto, adesso è una certezza. I palestinesi più che alla nascita di un loro Stato, preferiscono la non esistenza di uno Stato ebraico. La conferma, se proprio ce n’era bisogno, è la notizia, diffusa nei giorni scorsi, della richiesta di assistenza ai Paesi arabi da parte di Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, nell’azione di portare la Gran Bretagna davanti alla Corte Internazionale Penale dell’Aja per la Dichiarazione Balfour del 1917. Dunque invece di avviare trattative di pace che possano portare alla nascita dello Stato palestinese, Abu Mazen sceglie la linea dell’attacco. E ora non solo contro Israele, ma anche contro chi, secondo lui, ne ha sostenuto la sua creazione, nella fattispecie la Gran Bretagna e, se andiamo bene a vedere, in realtà anche contro l’Onu.
Cerchiamo di spiegare, ricordando un po’ di storia, quella vera, non distorta da manipolazioni e menzogne. Dunque il 2 novembre 1917, quando la questione palestinese, come la si intende oggi, non esisteva, l’allora ministro degli Esteri inglese, Sir Arthur Balfour, inviò a Lord Lionel Walter Rothschild (principale rappresentante della comunità ebraica inglese) una lettera con la quale il governo britannico si impegnava per la creazione di un focolare ebraico in quella che si chiamava Palestina (che comprendeva tutta l’attuale Giordania, Israele e la West Bank e che nulla ha a che vedere con quella che oggi è chiamata Palestina), specificando che non dovevano essere danneggiati i diritti civile e religiosi delle comunità non ebraiche. “Il governo di Sua Maestà – si legge nella Dichiarazione Balfour – vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
Il 24 luglio 1922, l’allora Società delle Nazioni (l’attuale Onu), confermando in 24 articoli il Mandato Britannico sulla Palestina dopo il dissolvimento dell’impero Ottomano, e citando la Dichiarazione Balfour, affermava: “La potenza mandataria si assumerà la responsabilità di istituire nel Paese uno stato di cose … tale da assicurare l’istituzione del futuro focolare nazionale per il popolo ebraico” (articolo 2), “l’amministrazione della Palestina faciliterà l’immigrazione ebraica in condizioni appropriate e incoraggerà l’insediamento intensivo degli ebrei nel Paese” (articolo 6). La Società delle Nazioni precisava inoltre che essa vedeva in tale immigrazione una condizione per l’accrescimento del benessere della popolazione non ebrea.
In precedenza, nel gennaio 1919, l’emiro Feisal ibn Hussein (all’epoca il maggiore rappresentate del nazionalismo arabo, figlio dello sceriffo della Mecca e futuro re dell’Iraq) firmò a Parigi un accordo con Chaim Weizmann (che sarebbe poi diventato il primo presidente dello Stato d’Israele) per dare esecuzione alla Dichiarazione Balfour. In una lettera del marzo 1919, Feisal scriveva: “Noi arabi, in particolare quelli con più cultura, guardiamo con profonda simpatia al movimento sionista. La nostra delegazione a Parigi è pienamente a conoscenza delle proposte presentate dall’Organizzazione Sionista alla Conferenza di pace, e le consideriamo moderate e corrette. … Stiamo operando insieme per un Vicino Oriente rianimato e rinnovato, e i nostri due movimenti si completano a vicenda. Il movimento ebraico è nazionale e non imperialista. Il nostro movimento è nazionale e non imperialista, e nel Levante c’è spazio per entrambi. Penso anzi che nessuno dei due possa avere successo senza l’altro”.
Negli anni successivi, sempre durante il mandato Britannico, crebbero le tensioni tra popolazioni ebraiche e arabe. E il 29 novembre 1947, pensando di mettere fine a queste tensioni, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò un piano (Risoluzione numero 181) con 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astenuti, per la divisione del mandato Britannico in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo, assegnando a Gerusalemme lo status di città internazionale amministrata dall’Onu. La maggior parte dei gruppi ebraici approvò la richiesta, da parte araba ci fu un netto rifiuto. Il 14 maggio 1948, la risoluzione dell’Onu diventò operativa. E mentre Israele festeggiava la nascita del suo Stato ebraico, i Paesi arabi confermando il no alla risoluzione, di fatto impedirono la creazione dello Stato palestinese (che Israele aveva accettato). Così il giorno dopo, 15 maggio, Egitto, Siria, Giordania, Libano e un contingente dell’Iraq attaccarono Israele in quella che definirono “una guerra di sterminio e massacro”, pensando di poter avere facilmente ragione del piccolo Stato ebraico. Ma quella guerra durata 15 mesi, chiamata “Guerra d’Indipendenza”, fu vinta da Israele che non solo respinse gli invasori infliggendo loro un’umiliante sconfitta, ma allargò il proprio territorio rispetto al progetto di spartizione delle Nazioni Unite. Da allora si sono susseguite altre guerre, due Intifade, attacchi terroristici di ogni genere da parte dei palestinesi (kamikaze nei bus, nei locali, per le strade, attacchi con armi, ultimamente con i coltelli, investimenti con auto e camion), ma Israele ha sempre saputo rispondere con fermezza.
E siamo al giorno d’oggi. E mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu continua invano a invitare Abu Mazen a colloqui diretti di pace, ecco la disperata e maldestra mossa del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese che esce con questa iniziativa che in realtà ha una grande contraddizione di fatto. Sì perché se Abu Mazen, che appare sempre più delegittimato sulla scena internazionale, vuole denunciare la Gran Bretagna per la Dichiarazione Balfour, dovrebbe in realtà denunciare anche la Società delle Nazioni, che fece sua tale iniziativa nell’assegnare il Mandato Britannico, e poi le stesse Nazioni Unite, che in applicazione di tale Mandato approvarono nel 1948 la spartizione in due Stati. E denunciare persino i palestinesi stessi per aver firmato nel 1993 gli Accordi di Oslo (quelli della famosa stretta di mano fra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat).
In conclusione, la realtà, come ha sostenuto anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a commento della mossa di Abu Mazen, è che “la radice del conflitto israelo-palestinese sta nel loro rifiuto di accettare l’esistenza di uno Stato ebraico entro qualunque confine. Questo è e resta il nocciolo del conflitto”. La speranza è che il mondo occidentale finalmente lo capisca, a cominciare dalla Francia, che insiste per una sua unilaterale e irragionevole iniziativa di pace.