Generalmente i Ministri della Difesa israeliani vengono giudicati diversamente dalle loro controparti europee. Mentre i secondi hanno spesso a che fare con le spese relative all’esercito o con il rinnovo dell’arsenale a disposizione, gli israeliani hanno dovuto in più occasioni misurare le loro abilità sul campo di battaglia. L’ultimo in ordine cronologico ad occupare questa carica si è distinto però per la sua riluttanza nei confronti dei conflitti armati. Moshè Ya’alon infatti sta facendo di tutto per evitare che Israele venga trascinato nel vortice della guerra in Siria che finora ha coinvolto la maggior parte dei protagonisti sulla scena mediorientale. Tutto questo senza però mettere a repentaglio gli interessi strategici di Israele.
Lo Stato Islamico continua a spargere terrore mettendo in moto la reazione delle nazioni occidentali e della Russia. La guerra è ben lontana dalla fine ma in questo momento cruciale Israele è riuscito a tenersi fuori soprattutto per paura che ad avvantaggiarsi siano le forze dell’asse sciita costituito dall’Iran, dal regime di Bashar al-Assad e dagli Hezbollah libanesi, un timore che non sembra condiviso dalle altre potenze mondiali. Certamente negli alti gradi dell’esercito israeliano c’è la consapevolezza che lo Stato Islamico non è meno minaccioso di Hezbollah e del regime di Assad ma non è da sottovalutare il fatto che questi ultimi sono meglio armati e più in grado di minacciare i confini d’Israele.
Israele nel trattare la questione siriana ha effettuato negli ultimi cinque anni una serie di decisioni di importanza morale e operativa. La prima e più importante è senza dubbio quella di curare i siriani feriti, una dimostrazione di neutralità per offrire un’immagine di Israele come un vicino non interessato ad invischiarsi nelle vicende di un altro paese ma che allo stesso tempo mantiene la sua dignità aiutando dove possibile coloro che sono stati controvoglia trascinati in un’esistenza per la quale non è garantita a tutti la sopravvivenza al giorno seguente. L’altra importante scelta morale è stata quella di rivelare al mondo, attraverso le parole del Generale Itai Brun, le atrocità commesse da Assad contro il suo stesso popolo con l’uso del gas Sarin nel 2013. Sebbene possa essere considerato un gesto avverso al regime, è lecito pensare che, in virtù della neutralità mostrata finora da Israele, una simile azione sarebbe stata condannata a prescindere dall’identità del perpetratore.
Proprio l’uso di armi chimiche è una delle due linee rosse tracciate da Israele rispetto al conflitto siriano. Oltre ad assicurarsi che Hezbollah non entri in possesso di tali armamenti, l’altro limite è costituito dal far sì che nessuna formazione jihadista violi il confine del Golan. Nessuna interferenza con le azioni del gruppo sciita in Siria insomma, ma solo fino a che i benefici di queste azioni non mettano in pericolo la sicurezza dello Stato ebraico. Alcuni analisti militari israeliani hanno definito questo atteggiamento come “dottrina della chiarezza”: definendo in modo chiaro quali azioni scatenerebbero una reazione ferma si evita che il nemico sia sorpreso da eventuali offensive e quindi meno frettoloso nel mettere in piedi un’escalation.
Israele, come riportato nei giorni scorsi dalla stampa mondiale, ha effettuato dei raid in territorio siriano ma colpendo esclusivamente Hezbollah e le sue postazioni. Quando nei primi mesi del 2015 gli iraniani cominciarono a stabilire un fronte sulle alture del Golan Israele non ha battuto ciglio ed ha ucciso un’importante generale delle Quds Force che accompagnava alcuni comandanti di Hezbollah quando questi si trovavano a pochi chilometri dal confine. Si temeva una dura reazione iraniana ma alla fine nessun colpo è partito dal lato siriano del Golan.
Mentre ci avviciniamo all’inizio del sesto anno di guerra civile in Siria, Israele, la più grande potenza militare dell’area, è l’unico paese a poter essere ancora considerato neutrale in Medio Oriente. Alla luce di questa analisi si può concludere che la neutralità israeliana è dovuta al fatto che l’IDF non ha nessuna preferenza rispetto a chi potrebbe vincere la guerra, sia l’asse sunnita che quello sciita sono da considerare nemici. Una differenza però esiste ed è ben impressa nella mente di Ya’alon: l’ISIS, comunque vada, verrà annientato, l’Iran invece si sta trasformando in una vera e propria superpotenza regionale in grado di porre una minaccia ben più seria allo Stato ebraico.