Donald Trump è stato ricevuto regalmente in Arabia Saudita. Il vecchio re Salaman si è recato di persona all’aeroporto per incontrarlo e stringere la mano non solo a lui ma anche alla moglie Melania a capo scoperto tuttavia severamente nero vestita. Non lo aveva fatto per Barack Obama. Un gesto significativo di profondo ossequio che dice molto. Faremo ottimi affari, noi ci fidiamo di voi, voi fidatevi di noi.
Riad vale bene una messa? Sembra che soprattutto valga commesse per 380 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, con un terzo di questa cifra, 110 miliardi di dollari, da spendere per gli armamenti. Tanto per dare un senso delle proporzioni, il pacchetto economico per la difesa di Israele fatto stanziare da Obama prima di congedarsi ammonta a 38 miliardi di dollari spalmati su un decennio. Certo, questa intesa rafforza il legame americano-saudita a fronte della minaccia iraniana, essendo per gli Usa, l’Iran e non l’Arabia Saudita il principale problema regionale, malgrado nei decenni la casa regnante saudita abbia profuso cifre astronomiche per diffondere nel mondo il verbo del radicalismo salafita, concime fondamentale per il jihadismo.
Israele osserva e per ora non commenta. Il dealer Trump fa buoni affari, così si dice. Soprattutto per le casse americane. Come è giusto che sia, dalla sua prospettiva, America comes first. Eppure lo scenario non è dei più tranquillizzanti. Se i sauditi rimpinzati di dollari e di nuove armi dovranno partecipare a un eventuale rilancio del processo di pace tra Israele e i palestinesi lo faranno a quali condizioni? L’Iniziativa di Pace araba del 2002 giace ancora sul tavolo considerata la sua irricevibilità da parte israeliana. A Israele si chiedeva di tornare ai confini pre 1967 e di fare rientrare massicciamente i rifugiati palestinesi. Sarà ancora questa la pretesa saudita per concorrere a rilanciare i negoziati?
Per il momento, da questo presidente americano, Israele non ha ottenuto nulla di concreto se non una entusiastica dichiarazione di amicizia, un abbraccio proteso e caloroso, ma niente di più. L’ambasciata americana è ancora a Tel Aviv, e nessun via libera a nuove costruzioni. In compenso Abu Mazen è stato ricevuto con calore inaspettato e rilanciato nuovamente nel ruolo di partner per la pace, d’altronde altri candidati non ve ne sono all’orizzonte.
Intanto, in attesa di atterrare in Israele, Trump improvvisa qualche goffo passo nell’ardha, la danza delle spade saudita insieme a Rex Tillerson e al Segretario del Commercio Wilbour Ross.
Il deal con i sauditi è fatto, quello con Israele si vedrà. Nel mentre non si può che danzare allegramente.